Uno straordinario ragazzo di 75 anni, con la curiosità di chi ha ancora tanti sogni da scovare e l’umiltà di chi continua a mettersi in dubbio, senza mai osservare il mondo da un piedistallo. È Leo Gullotta, chiamato anche Gullottino da chi lo ha conosciuto ragazzino mentre iniziava a muovere i primi passi al Teatro Stabile di Catania.
Una vita di successi e di soddisfazioni per l’attore che, partito da un quartiere popolare di Catania, è diventato uno degli artisti più stimati d’Italia. Non senza sacrifici, però. Perché, senza studio e senza ascolto, il successo è effimero e come arriva va via, lasciando in bocca l’amaro di un’illusione.
Lo abbiamo incontrato in un caldo pomeriggio di qualche giorno fa a Cefalù, dove è giunto per presiedere la giuria del “Sicilia Film Fest”, convinto della necessità di dover sempre sostenere le idee serie e belle di giovani che provano a offrire alla Sicilia ciò che la politica non dà.
Una chiacchierata sincera e generosa che ha ripercorso oltre cinquant’anni di vita e di carriera e che ha permesso di conoscere meglio la persona che c’è dietro l’attore che ha dato vita ai moltissimi personaggi tanto amati dal pubblico.
Chi era Gullottino e come ha cominciato?
Ho cominciato a 14 anni per caso. Ero l’ultimo di sei figli, con un padre operaio pasticcere che comunque è riuscito a farci studiare tutti, in un’Italia che si stava ricostruendo dopo la Guerra. Sono nato e cresciuto in un quartiere popolare di Catania, il Fortino, dove non c’era niente per i giovani. Non avevo il fuoco sacro, però ero un ragazzino curioso e, proprio grazie a un serie di circostanze e alla mia curiosità, mi sono ritrovato da subito a essere un professionista al Teatro Stabile. Sono rimasto là 10 anni, durante i quali mi sono formato con alcuni monumenti europei della recitazione: da Salvo Randone a Turi Ferro. Mi chiamavano Gullottino, data la mia età, ma sono stato capace di apprendere guardando sia i più grandi che quelli meno noti e altrettanto talentosi.
Sono passati cinquantaquattro anni dal suo debutto: da allora oltre 100 film sulle spalle, senza contare quelli per la TV. Leo Gullotta è un’infaticabile lavoratore o un innamorato che non può fare a meno della sua passione?
La passione è sicuramente importante, ma se abbracci un lavoro lo devi sempre fare con professionalità e tanto studio. Il mio è un mestiere dove puoi imparare qualcosa anche fino a centodieci anni, ovviamente se sei disposto a farlo. Studiare è quindi la chiave. Perché il successo non è fatto di casualità e quando arriva devi essere capace di mantenerlo. Guai a essere sicuri di se stessi, al contrario bisogna farsi sempre delle domande: questo vuol dire essere rispettosi di se stessi e del pubblico.
Sembra che oggi, al contrario, al successo ci si arrivi molto più velocemente e senza fatica. È davvero così?
I successi con la S maiuscola sono quelli che rimangono negli anni. Un esempio eclatante è Raffaella Carrà, che ha studiato sodo. Lei era perennemente in prova. In “Carramba”, ad esempio, provava perfino le domande che doveva fare alle persone, controllando il posto dove si sarebbero sedute. Era di una professionalità straordinaria e infatti ha costruito un pezzo di storia della televisione italiana, andandosene in silenzio, in punta di piedi. Perché, ribadisco, il successo non si costruisce da un giorno all’altro, non è una cosa che ti danno gratis, te lo devi guadagnare.
Certo, per carità, ci si può abbassare le mutande in mezzo alla piazza e i giornali per tre giorni parleranno soltanto di questo gesto curioso, strano, ma poi tutto finisce lì. La bravura è un’altra cosa, è quella che ti permette di durare nel tempo.
Al successo, peraltro, non ci si arriva da soli…
Cinquantaquattro anni di lavoro e la parte tecnica me la porto sempre nel cuore. Questo è un mestiere che si fa insieme: c’è chi mi veste, chi mi riprende, chi mi scrive, chi mi mette lo sgabellino, chi stoppa le riprese. Si lavora insieme. E quindi ogni volta che arrivo su un set intanto saluto tutti, uno per uno, stessa cosa quando vado via. Il rapporto deve essere di intesa, mai porre l’io davanti al noi. Non c’è infatti cosa peggiore della spocchia, della superficialità, della sopraffazione verso il lavoratore. La parola fondamentale è “rispetto”. Se manca quello vuol dire che manca qualcosa all’interno di te, della tua educazione, della tua preparazione alla vita, della tua famiglia.
Secondo lei come dobbiamo comportarci davanti al mondo che vivono le nuove generazioni, che è sicuramente diverso rispetto a tanti anni fa?
Il mondo cambia, c’è stata un’evoluzione importante. Sono arrivati il villaggio globale, la finanza internazionale, la tecnologia così immediata e veloce che va a cozzare con l’informazione. Bisogna, però, sempre guardare con grande curiosità l’evoluzione della vita. Guai a dire “Eh, però ai miei tempi questo non si faceva”. I miei tempi erano bellissimi, però sono interessanti anche quelli di oggi, con tutti i suoi sbagli, esattamente come quelli che abbiamo fatto noi in passato.
È uno dei più apprezzati attori italiani, sicuramente per la sua duttilità. Lei si sente più portato per i ruoli comici o quelli drammatici?
C’è chi sceglie di diventare solo se stesso , un “one show man”. L’attore, invece, deve essere sempre pronto a fare tutto, da Molière a Shakespeare a Beckett. Un esempio straordinario sono Ficarra e Picone. Due bravissimi attori che si sono affermati perché intelligenti. Loro non si fermano alla superficialità, ma vanno oltre: hanno sempre realizzato film dove c’è il graffio, il sorriso, ma anche un’accesissima critica alla dimensione socio-politica che viviamo quotidianamente.
Non c’è quindi un ruolo in cui si sente più a suo agio?
Io personalmente ho fatto tanti ruoli e sicuramente ne farò altri. Più che essere interessato al protagonista sono interessato al progetto, tanto che a volte per me è molto più fruttuosa una partecipazione straordinaria in un film perché reputo quel progetto interessante. Guai a sedersi sulla poltrona del successo, a stare sul trespolo. Il trespolo traballa e se cadi ti fai molto male. Bisogna sempre essere umili.
Innumerevoli anche le sue apparizioni a teatro. Per lei è più emozionante il cinema o il teatro?
Sono linguaggi completamente diversi, ma bisogna conoscerli entrambi. Il teatro è una partita a ping pong, un incontro amoroso fra te e il pubblico, che a volte scatta, a volte no. Il cinema, invece, è fatto di tanti pezzettini di scene e la differenza la fa la qualità della storia, del regista, del montaggio, delle luci e di tutta una serie di cose che si incatenano fra loro e che creano quel magnifico prodotto che vediamo sugli schermi. Quello che importa è rispettare il pubblico, e per farlo devi sempre chiederti cosa desidera e come desidera vedere le cose sia al cinema che al teatro.
La capacità dell’attore, in questo senso, sta nell’inventare personaggi lontani da sé, altre vite. Tanto che se lei mette insieme le foto dei personaggi che ho interpretato, non troverà mai lo stesso viso, la stessa impostazione fisica, la stessa espressione, ma troverà un personaggio ogni volta diverso e con una sua anima. Questo bisogna saperlo costruire studiando.
L’abbiamo vista anche in tanti spot pubblicitari della Condorelli, un sodalizio di più di 30 anni con il Cavaliere, con Belpasso o con la Sicilia che produce e lo fa bene?
Quando 27 anni fa ho cominciato a essere testimonial del prodotto, non conoscevo questa realtà. Incontrai il Cavaliere, persona straordinaria, intelligente e di grandissimo spessore, che inventò il torroncino molle perché la mamma non aveva denti e quindi quello duro non poteva mangiarlo, e volli scoprire l’azienda. Quando mi fu chiesto di pubblicizzarlo, erano tempi in cui molte imprese subivano ed erano in combutta con organizzazioni non proprio pulite. Il pensiero, quindi, di poter essere un catanese, siciliano, italiano emblema di un prodotto pulito della nostra terra mi ha fatto accettare subito.
Lei è molto amato anche dai cineasti siciliani, direi in particolare da Peppuccio Tornatore. Che rapporto ha con il regista bagherese?
Credo che Peppuccio sia uno dei registi più preparati al mondo. Non racconta e basta, io lo chiamo “il poeta che scrive con la macchina da presa” tale è la stima che nutro nei suoi confronti.
Lo conobbi in occasione del suo primissimo film “Il camorrista”, di cui fui il co-protagonista, e siamo rimasti molto amici. Tante volte ho avuto il piacere di recitare nei suoi film con partecipazioni straordinarie: da Ignazino di “Nuovo Cinema Paradiso” al pazzo di “Stanno tutti bene”, dal semplice contadino di “Baarìa” a Vito il barbiere omosessuale. Sono stati tutti personaggi fatti col cuore, con affetto, stima, attenzione e sostegno a un uomo di cinema straordinario come è lui.
Presidente di giuria del “Sicilia Film Fest”: cosa ne pensa dei festival che danno spazio ai giovani?
Io ho un principio. Per manifestazioni serie che si svolgono in Sicilia sono sempre disponibile. È un festival appena nato, ma quando mi è stato raccontato e descritto ho subito pensato fosse serio. Per cui sono qui proprio per sostenere un concetto, come fossi un piccolo motore che avvia un momento, un paesino, una situazione. Perché i giovani nella nostra terra hanno poco e i politici hanno fatto pochissimo per loro, quindi quando scattano questo tipo di idee non posso che abbracciarle. Chi nella vita ha avuto, deve sapere dare. Questo è il mio gesto.
I festival estivi come il “Sicilia Film Fest” ridanno un po’ una funzione sociale al Cinema. C’è la speranza che questa dimensione possa tornare a vivere?
Memoria. Senza memoria non si costruisce il futuro. Il cinema ci insegna, ci commuove, ci racconta, ci fa sapere. È come leggere un libro. Il libro ti fa conoscere altre vite e altre persone, e più ne conosci più questo ti serve a discernere. Spero che le scuole lo capiscano, perché i tantissimi materiali cinematografici a disposizione potrebbero essere strumento utile a far conoscere. Il cinema è vita e, attenzione, si deve sempre guardarlo al cinema.
Non dobbiamo, quindi, rassegnarci a Netflix e al divano?
Lei usa una parola che non bisogna mai usare. Io a 75 anni non sono rassegnato. Dico sempre la mia con educazione e rispetto, ma sapendo comunque ascoltare. Se vogliamo una società per i nostri nipoti e pronipoti sana e democratica non dobbiamo mai rassegnarci, mai. Perché se facciamo sempre spallucce non diamo alle nuove generazioni una linea di riflessione verso la vita e la società.
Come vive questo momento storico? La pandemia l’ha cambiata?
La pandemia ha cambiato tutti, ci ha costretto a stare in un angolo chiusi a casa, a farci mille domande. E poi c’è anche la paura ovviamente. Ma la paura si domina se la contrasti. È sciocco e stupido non tentare di bloccarla. Così come il timore che si ha per il vaccino, senza capire che è l’unica luce in fondo al tunnel, l’unica chiave per la vita, l’unico strumento che può farci superare questo momento. Io ascolto sempre la scienza, delle bandierine politiche per le prossime elezioni mi interessa poco. La riflessione, la curiosità, il voler capire le cose sono l’unica chiave di volta.
Come possiamo superare questo periodo, quindi?
Come comunità dovremmo usare più spesso la parola “Insieme”, perché da soli non si va da nessuna parte, tanto che fino a quando l’Africa non potrà vaccinarsi perché non ha i mezzi non si potrà superare veramente la crisi. Invece la pandemia ci ha fatto diventare più cinici, disumani, spaventosamente egoisti, facendo venire meno anche la parola “accoglienza”.
Che Paese ha trovato la pandemia?
Un Paese fermo. La pandemia ci ha fatto capire, chi ha voluto farlo naturalmente, che tutte le cose che si facevano prima erano sbagliate: come i tagli alla Sanità pubblica a favore di quella privata, i tagli alla scuola, all’università, alla ricerca. Lo si sapeva anche prima, ma la pandemia ce lo ha fatto vedere di colpo nella sua drammatica realtà.
C’è un sogno che non ha ancora realizzato?
Sono nato in un quartiere popolare, figlio di un operaio pasticcere e ultimo di sei figli. Mi reputo una persona fortunata per quello che ho avuto e che ho. I sogni ci sono sempre nella vita, ma devi essere tu ad andarli a scovare. Se stai a casa chiuso perché sei convinto di essere Galileo Galilei… Ritorniamo sempre al concetto di curiosità: se elimini quella elimini qualsiasi possibilità.
C’è allora una curiosità che non ha ancora soddisfatto?
La vita è piena di curiosità. Purtroppo mi manca poco a lasciare questa meraviglia di vita – e un po’ mi incazzo al pensiero – ma i sogni li puoi comunque trovare quando meno te li aspetti. Bisogna sapere aspettare, ma anche guardare e ascoltare.
C’è un film che rifarebbe altre mille volte?
Tengo tanti film nel cuore per tanti motivi, ma per come è nato, per come si è girato, per la qualità del cast, per dove si è girato, per il giovane regista che lo ha realizzato, quel film è “Nuovo Cinema Paradiso”.
Nel cuore ho tutti i ricordi di come è avvenuto. C’era un cast fantastico, si girava tutti insieme, la sera ci invitavano nelle case di quel “cucuzzoletto” della Sicilia che si chiama Palazzo Adriano. È un momento particolare della mia carriera a cui ho riservato un posticino particolare nel mio cuore.
C’è un giovane attore o una giovane attrice che secondo lei dobbiamo tener d’occhio?
Sono arrivati, ci sono. Favino, Germano, Giallini, ad esempio. Per il teatro, a proposito della nostra terra, c’è un attore particolare che seguo da anni e che è Filippo Luna.
Claudia Rizzo – PalermoPost