Sull’eterna diatriba fra “arancina” e “arancino” sono intervenuti perfino gli inglesi, ma pace non è stata fatta e probabilmente mai sarà fatta. Se c’è, però, una cosa su cui tutti, da Palermo a Catania, vanno d’accordo è la bontà della regina della nostra pasticceria: sua maestà la cassata siciliana.
Impossibile, d’altronde, non andarne pazzi quando è realizzata a regola d’arte. Tanto che il detto Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua (“meschino chi non mangia cassata la mattina di Pasqua”) conferma il profondo amore dei siculi nei confronti del proprio dolce simbolo.
Una passione che va avanti da tempi antichissimi. Mangiare una fetta di cassata, infatti, è un po’ come mangiare una fetta di storia: in un sol boccone si attraversano i secoli e i popoli che l’hanno portata a diventare quella che è oggi.
La bacinella da cui tutto ebbe inizio, tra leggenda e realtà
Per scoprirne le origini, bisogna risalire alla Palermo del periodo arabo, in quella città che fioriva e brulicava di novità, arte e cultura. Proprio gli arabi avevano importato nell’isola diversi prodotti, come il pistacchio, gli agrumi, le mandorle e la canna da zucchero.
Leggenda vuole che una notte un pastore provò a mescolare la ricotta di pecora con lo zucchero (o, come dice qualcun altro, con il miele) e chiamò il dolce che ne derivò “quas’at” (“bacinella”), proprio dal nome della ciotola in cui aveva realizzato l’impasto.
Fu soltanto successivamente, alla corte palermitana dell’emiro in piazza Kalsa, che i cuochi cominciarono ad avvolgere quell’impasto in una sfoglia di pasta frolla e a cuocerlo in forno. Nacque così la cassata al forno, la prima versione in assoluto della regina delle nostre feste.
Dal forno alla glassa: la cassata siciliana oggi
Bisogna attendere l’epoca normanna per l’ulteriore evoluzione che trasformerà la cassata al forno nella versione colorata e deliziosa che è famosa in tutto il mondo. In particolare, bisogna ringraziare le suore del convento della Martorana a Palermo per l’invenzione della “martorana” (o “pasta reale”) a base di farina di mandorle che è diventata parte integrante del dolce.
Nel Settecento, poi, furono fatti altri passi verso la versione definitiva: la pasta frolla fu sostituita con il pan di Spagna arrivato da Genova, alla ricotta furono aggiunti dei pezzetti di cioccolato e la pasta martorana fu utilizzata per creare delle decorazioni.
Si deve, infine, alla creatività e all’intuito del pasticcere Salvatore Gulì la ricetta come la conosciamo oggi. Fu lui, infatti, nel 1873 ad arricchirla ulteriormente aggiungendo una glassa di zucchero e la cosiddetta “zuccata”, coltivata dalle suore della Badia del Cancelliere di Palermo.
Da allora la distribuzione crebbe sempre di più fino a diventare probabilmente uno dei dolci più conosciuti, assaggiati e desiderati, simbolo indiscusso della Sicilia culinaria che appacia tutti.
Claudia Rizzo – Palermo Post