Arancina o arancino? È questo il dilemma: se sia più giusto chiamarla pensando all’arancia e alla sua forma tonda o declinarla al maschile prendendo spunto dal nome della pianta?
Una diatriba che spacca la Sicilia in due da tempi immemori e su cui i palermitani non hanno alcun dubbio. Non ce ne voglia, quindi, la redazione di Catania Post ma a Palermo se c’è una cosa certa, financo più della morte, è che l’arancina è femmina e sul suo genere non si discute.
Così come non si discute sulla domanda che tutti noi oggi attendiamo con ansia: “accarne” o “abburro”? Nonostante le tante varianti sul tema e le arancine gourmet nate nel tempo grazie alla fantasia degli chef, ci sono delle tradizioni (guarda caso sempre culinarie) a cui gli abitanti del capoluogo non rinuncerebbero per nulla al mondo.
Tradizioni che hanno origine secoli fa ma che mantengono vivo il legame col nostro incredibile passato, in molti casi senza neanche saperlo. Gustando quella straordinaria “palla di riso impanata e fritta” (come si legge sul web per spiegare l’arancina ai profani che non la conoscono), ci siamo mai chiesti chi abbia inventato la ricetta?
TUTTA COLPA DEI SARACENI
Proprio così. Come per altre pietanze, “ci colpano” loro. All’origine, spiega bene Gaetano Basile nel suo libro Street food palermitano, «si trattava di un normale piatto di riso profumato di zafferano, con pisellini, carote e verdure a cui si aggiungevano straccetti di carne di pollo o di montone» (una pietanza, continua lo scrittore, che in Nord Africa trovate ancora ai giorni nostri).
Fu una motivazione logistica (sia benedetta!) a far nascere l’arancina: per fare di questo risotto un cibo facilmente trasportabile i nostri amati antenati pensarono di farne una palla, impanarla e friggerla, così da portarla ovunque.
Un primo passo verso il sublime. Quali gli altri step per farla diventare quella che tutti noi conosciamo e di cui ci strafoghiamo a Santa Lucia come se non l’avessimo a portata di mano durante tutto l’anno in qualsiasi angolo della città?
Sempre Basile, sulla base di ciò che scriveva il noto cronista del Settecento il marchese di Villabianca, ci racconta che le arancine furono la specialità tipica del Monastero domenicano della Pietà, oggi Palazzo Abatellis.
A quei tempi, però, non si usava ancora il pomodoro e neanche il ragù, per cui l’arancina era a tutti gli effetti quella originaria del Maghreb. Soltanto a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, «con la “pomodorizzazione” della nostra cucina, si arricchì di un nucleo centrale fatto di un poco di ragù di carne al pomodoro». Et voilà, la regina salata del nostro street food è servita!
SANTA LUCIA, PER TE QUEST’ARANCINA E ALTRO
Già da settimane i telefoni squillano a ripetizione nei bar per le ordinazioni, già da ieri nelle cucine si sono riunite varie generazioni per onorare la tradizione, già da stamattina è un continuo viavai di persone che vanno in giro con pacchetti e pacchettini pieni di arancine di tutti i tipi, già dal risveglio si sente un odore rassicurante in città, il profumo del fritto che si mescola a quello più dolce della cuccìa e che ci ricorda il sacrificio che da tanti anni compiamo per ringraziare Santa Lucia.
Un sacrificio a cui non possiamo certo sottrarci. D’altronde il 13 dicembre del 1646, a seguito di una lunga carestia che colpì Palermo e dopo diverse suppliche e preghiere, al porto arrivò una nave carica di grano.
La fame dei palermitani era talmente forte che non vollero perdere tempo a dedicarsi alla molitura per preparare la farina per pane e pasta, perciò lo bollirono e lo condirono con un po’ d’olio. Da qui nacque la cuccìa salata e da allora si è mantenuta la tradizione di bandire pane e pasta dalle tavole per un giorno intero, optando per piatti a base di riso.
Siccome, però, il riso in passato «era talmente caro che si usava come medicina» (tanto che «basta chiedere a qualcuno che sta poco bene se non preferisca un piatto di riso invece dei soliti spaghetti e ci sentirà rispondere “no, grazie, mi sto già rimettendo…”») potevamo mai accontentarci di una pietanza qualunque per onorare il miracolo fatto da Santa Lucia?
COME DEVE ESSERE UNA BUONA ARANCINA
Gaetano Basile sostiene che debba essere «bionda, per incominciare, e poi seducente al primo impatto. Soda, ma cedevole al primo boccone, da cui deve sprigionarsi il profumo dello zafferano, lasciando intravedere le sue ricche intimità».
«Tra un boccone e l’altro va tenuta vicino al naso per farci sentire cosa dobbiamo aspettarci da quel primo incontro» – aggiunge – «Da un colpo di fulmine si deve passare a un grande amore».
E per voi come deve essere santa Arancina?
Claudia Rizzo – Palermo Post