Un nobile gesto in memoria del generale, e prefetto che ha combattuto la mafia a Palermo

Nicola Scardina
da Nicola Scardina
5 Minuti di lettura

A Bagheria una bandiera in onore del Generale Dalla Chiesa

L’iniziativa è dei titolari di un negozio che hanno voluto rendere omaggio ad un servitore dello stato, barbaramente ucciso nel 1982

A Bagheria è stata issata una bandiera in onore del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, in memoria dell’anniversario dell’agguato mafioso in cui perse la vita, avvenuto 40 anni fa, a Palermo.

Pubblicità

In un’area verde di Bagheria, situata in via De Spuches, intitolata al maestro pittore Renato Guttuso, è stata collocata in questi giorni una bandiera, che raffigura il tricolore italiano, in cui campeggia l’effige del generale Dalla Chiesa, barbaramente ucciso il 3 settembre del 1982 assieme alla moglie, Emanuela Setti Carraro.

La nobile iniziativa è stata messa in atto da Ina Gagliano, e Franco Aliotta, titolari di un negozio di articoli da regalo a Bagheria, che si trova in via Diego D’Amico.

«Con tale idea abbiamo voluto rendere omaggio a un grande servitore dello Stato» – dichiarano i due imprenditori – «che ha donato la sua vita per l’affermazione della legalità nella nostra martoriata terra».

Il ricordo ancora vivo del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa

Carlo Alberto Dalla Chiesa era nato a Saluzzo, in provincia di Cuneo il 27 settembre del 1920, suo padre era un ufficiale dei carabinieri, diventato poi, come successe dopo al figlio, vicecomandante generale dell’Arma.

Il giovane Carlo Alberto, a 22 anni indossa la divisa dei carabinieri, e riceve il suo primo incarico in Campania, alle prese con il bandito La Marca. In occasione del terremoto del Belice, nel 1968, organizza i soccorsi. Non c’era la protezione civile a quel tempo, e per ringraziarlo i comuni di Gibellina, e di Montevago gli conferirono la cittadinanza onoraria.

La carriera militare di Dalla Chiesa prosegue in Sicilia, nel periodo duro degli anni ‘70: a Palermo il giornalista Mauro de Mauro, viene rapito dalla mafia, e non viene più ritrovato (16 settembre 1970); come se non bastasse, viene ucciso il procuratore Pietro Scaglione (5 maggio 1971).

Dalla Chiesa indagando su entrambi, i casi tira fuori il rapporto dei 114, una mappa dei nuovi e vecchi capimafia siciliana, in cui compaiono, per la prima volta, nomi che torneranno spesso nelle cronache di fatti mafiosi, e che allora erano ignoti: Frank Coppola, i cugini Greco di Ciaculli, Tommaso Buscetta, e Gerlando Alberti.

Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa

Nel 1973 Dalla Chiesa diventa generale dell’Arma dei Carabinieri, e assume la guida della divisione Pastrengo a Milano, per fronteggiare l’era sanguinosa del terrorismo rosso che si fa strada in quegli anni.

Dopo il sequestro del giudice Sossi a Genova, il generale infiltra nelle Brigate Rosse un suo uomo, Silvano Girotto, detto ‘’frate mitra’’, e arresta i padri storici del brigatismo, tra cui Renato Curcio, e Alberto Franceschini.

Nel 1975 dei carabinieri coordinati da Dalla Chiesa, nel corso di una operazione che porta alla liberazione dell’industriale Gancia, uccidono la moglie di Curcio, Margherita Cagol. Tempo dopo il generale riprende Curcio, e altri brigatisti evasi dal carcere di Casale Monferrato, ed è sua l’idea di rinchiudere i brigatisti nelle carceri di massima sicurezza (Cuneo, Asinara, Trani e Favignana, e poi Palmi).

Nel 1981 Dalla Chiesa diventa vicecomandante dell’Arma; il 2 maggio 1982 ottiene la nomina a prefetto di Palermo, città in cui solo quattro mesi dopo troverà la morte.

Alle 21:15 del 3 settembre 1982, l’auto sulla quale viaggiava il prefetto, un A112, guidata dalla moglie Emanuela Setti Carraro, fu affiancata in via Isidoro Carini a Palermo da una BMW, dalla quale partirono alcune raffiche di Kalashnikov AK-47, che uccisero i due coniugi.

Nello stesso momento l’auto con a bordo l’autista, e agente di scorta, Domenico Russo, che seguiva la vettura del Prefetto, veniva affiancata da una motocicletta, dalla quale partì un’altra micidiale raffica, che ferì gravemente Russo, il quale morì dopo dodici giorni all’ospedale di Palermo.

Per i tre omicidi della strage di via Carini sono stati condannati all’ergastolo come mandanti i vertici di “Cosa nostra”, ossia i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca, e Nenè Geraci.

Nel 2002 sono stati condannati in primo grado, quali esecutori materiali dell’attentato, Vincenzo Galatolo, e Antonino Madonia, entrambi all’ergastolo, Francesco Paolo Anzelmo, e Calogero Ganci a 14 anni di reclusione ciascuno.

Nicola Scardina

Condividi Articolo
Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.