Ti è mai capitato di starnutire o tossire per strada e vedere tutti allontanarsi da te?
In uno studio medico, a Palermo, un dottore -un po’ ipocondriaco- da quando è iniziata la pandemia ha iniziato a lavorare in smart working.
Sembrerà assurdo, eppure la vicenda ha sia dell’innovativo che del paradossale.
Nello studio medico non si può entrare se non si ha un tampone che accerti la propria negatività al Covid-19.
Ecco perché, per non lasciare nessuno sprovvisto di cure urgenti, sono stati sperimentati nuovi metodi per visitare i pazienti: si avviano videochiamate, chiamate (per i pazienti più anziani, che non sanno attivare le video) e/o messaggi corredati da foto.
Per le ricette mediche si utilizza il paniere, per chi non lo sapesse è un cesto di vimini, che sapientemente viene abbassato dal balcone, onde evitare qualsiasi contatto con gli ammalati.
Sebbene il dottore assolva ai suoi doveri, non lasciando nessuno sprovvisto di diagnosi, ci si chiede se questo usi la diligenza richiesta dal suo stesso mestiere.
È legittimo che non visiti i pazienti direttamente ma si affidi agli stessi, che sotto le sue direttive, analizzano i propri corpi?
E, ancora, è legittimo che un medico abbia così tanta paura di una malattia, che in una pandemia si corre il rischio di prendere?
Sono dubbi irrisolti questi ai quali se ne aggiunge un altro: è possibile che la medicina faccia un salto in avanti e anch’essa, come è avvenuto con l’insegnamento, i lavori svolti negli uffici e nella pubblica amministrazione, si trasformi in un lavoro, che se si vuole, può essere svolto a distanza diventando un lavoro agile?
A voi lettori, come sempre, l’ardua sentenza.
Marialessandra Cimò – Palermo Post