Era l’estate del 2018, l’anno di Manifesta e di Palermo Capitale della Cultura. La città era in fermento, caratterizzata da un interessante andirivieni di artisti, costellata di eventi.
I registi palermitani Salvo Cuccia e Antonio Bellia portano una troupe nel quartiere dell’Albergheria, si chiedono che impatto può avere l’arte sulla gente, soprattutto su una parte della popolazione posta ai margini, in un quartiere in cui, nella stragrande maggioranza dei casi, la videocamera entra per raccontare di arresti, di spaccio. Scardinano la diffidenza, prendono confidenza con il territorio, ne diventano parte.
Per quattro giorni seguono cinque artisti, arrivati nel quartiere per realizzare cinque opere pittoriche sui suoi muri degradati. Così nasce “Prospettiva Ballarò”, un docufilm che a partire dal 22 ottobre sarà disponibile su Netflix, in trenta Paesi e in diciotto lingue.
C’è Ballarò, vivace e decadente, caotico e ammaliante, con le sue cupole rivestite di maioliche che brillano al sole, i suoi palazzi fatiscenti e i cumuli di spazzatura per le strade. E ci sono Igor Scalisi Palminteri, Andrea Buglisi, Fulvio Di Piazza, Alessandro Bazan e CRAZYoNE che dipingono rispettivamente, in cinque posti fatiscenti del quartiere, “Viva Santa Rosalia”, “Fides”, “Turbo Ballarò”, “Faces are places” e “Franco Franchi”, sotto gli occhi dei passanti e delle persone che vivono all’interno di quelle case degradate e che di quelle opere, già mentre prendono forma, diventano fruitori e critici d’arte. Come la signora che si vede nel trailer, già disponibile sulla piattaforma, che commenta in modo sarcastico il murale che Fulvio di Piazza sta dipingendo davanti a lei. Cuccia e Bellia sono lì per questo: per osservare l’interazione, per documentare le reazioni.
«Volevamo allontanarci dall’immagine patinata della città così come veniva trasmessa in tv in quel periodo», ha dichiarato il regista Salvo Cuccia. A emergere nel documentario è una visione non edulcorata della realtà, le contraddizioni del quartiere e la potenza dell’arte, il modo in cui la bellezza aiuta le trasformazioni sociali. L’obiettivo dei registi era proprio quello di osservare, e far osservare, la risposta della gente comune all’arte che arriva nelle strade e diventa parte dell’ambiente in cui vive.
Quattro giorni di riprese, un lavoro spontaneo, volutamente non troppo elaborato, ha spiegato Bellia, con tutti i suoi difetti ma anche tutti i pregi che solo un progetto immediato e basato molto su quello che succede per strada può garantire.