A Terrasini, il sabato e la domenica di Pasqua, si rinnova un’antica tradizione, la cui origine si perde nella notte dei tempi: la “Festa di li schetti”, la festa degli scapoli o festa dell’albero, protagonista della manifestazione popolare. La festa consiste nell’alzata, nel palmo di una sola mano, di un melangolo, aranciu airu, del peso di circa cinquanta chili. L’origine della festa resta avvolta nel mistero, l’etnologo Giuseppe Pitrè, cosi attento agli eventi demologici, non ne fa cenno nei suoi scritti, ma sappiamo che in base ai ricordi degli anziani, tramandati da padre in figlio, che la festa è sicuramente presente a metà ottocento. La manifestazione ha inizio all’alba del Sabato Santo, con un complesso rituale che si è miracolosamente mantenuto quasi intatto nel tempo. Negli agrumeti di Terrasini ma anche di Partinico (Parrini) i componenti la Dubbitazione, il comitato organizzatore degli schetti, iniziano il rito del taglio dell’albero di arancio amaro, simbolo e protagonista della manifestazione. La scelta dell’albero ha avuto luogo nei mesi precedenti alla festa; una serie di ispezioni segrete degli schetti ha individuato il sacro prescelto, dotato di quelle caratteristiche primarie per una buona riuscita dell’alzata. Il selvatico dovrà essere infatti frondoso ed equilibrato, il tronco ben dritto. Il taglio è un momento quasi sacrale del rito, si uccide infatti l’albero per poi resuscitarlo con l’alzata; per questo motivo la delicata operazione è effettuata con attrezzi speciali dagli artigiani del luogo. Il fondo prescelto per il taglio dell’albero doveva restare segretissimo per impedire eventuali sfregi, atti vandalici da parte probabilmente di componenti la Dubbitazione esclusi. Dopo il taglio dell’albero iniziava il rito della manciata, il pasto collettivo, che anticamente avveniva nello stesso fondo dove l’albero era stato reciso alla radice, con la partecipazione attiva della Dubbitazione, dei familiari del donatore e di un’orchestra. La manciata rivela la connessione della festa con gli antichi riti agrari pagani: inizia un nuovo ciclo della natura e il riunirsi attorno al fuoco per consumare la carne di crasto e le sarde arrostite alla brace, simbolici anch’essi delle due culture di Terrasini, la contadina e la marinara, propizierà, dopo abbondanti libagioni del forte e aromatico vino locale, un anno di abbondanza e felicità. oggi la manciata è un evento turistico, non avviene più nelle campagne di Terrasini, ha perso quella ritualità del passato non divennendo al contempo una vera manifsetazione attrattiva per i turisti. Nel primo pomeriggio l’albero ridiventa il protagonista della festa: caricato su un carretto siciliano, ‘u carrettu ra festa, arriva trionfalmente in paese portato dal falegname, che ha il delicato compito di adattarlo alle regole dell’alzata. Si aggiunge un’asta di legno al tronco e dei rami supplementari, affinchè raggiunga il peso prescritto; nella parte terminale dell’asta viene inserito un cono di ferro, mentre il delicato punto dell’innesto viene rinforzato con un grosso anello, anch’esso di metallo. Terminata l’operazione, l’albero viene poi addobbato con striscioni colorati, fazzolettini rossi, ciancianeddi, (i sonagli dei cavalli), e gli aineddi, oggi semplici caciottine, un tempo, come rivela l’arcaismo lessicale, spia linguistica dell’antichità della festa, formaggio tenero realizzato con abilità dagli artigiani che con un rapido movimento della bocca, facevano assumere al latticino sembianze zoomorfe. L’albero è ora pronto per la festa, la Dubbitazione, un tempo, si scurava, cioè dormiva, nel magazzino dove era stato addobbato l’albero, per proteggerlo da eventuali atti vandalici. L’indomani, all’alba della giornata di Pasqua, l’alborata, gli spari dei mortaretti, sveglia l’intero paese, ricordando alla comunità che è arrivato il gran giorno. L’albero viene benedetto dal parroco della chiesa Madre e finalmente ha inizio il festoso giro per le vie del paese. Per gli schetti è il momento della prova di forza e abilità: l’alzata dell’albero sotto il balcone della zita, la promessa sposa o la fidanzata non ufficiale. In quest’ultimo caso il giovane, fino a non molti anni fa, dichiarava il proprio amore davanti alla famiglia della ragazza e all’intera comunità; se la zita
acconsentiva, staccava un ramoscello dall’albero librato in cielo e così la promessa di matrimonio veniva siglata. Tantissimi matrimoni, si racconta tra gli anziani del paese, sono andati in fumo per l’incapacità dello schetto ad alzare il pesante albero, inibito e tremate per l’emozione: si narra di un indimenticabile alzata d’albero di un prestante giovane che, paralizzato dalla pubblica prova, non riusciva a sollevare l’albero sotto il balcone della zita. I reiterati e maldestri tentativi, sottolineati dalle risa e dai motteggi di scherno dei presenti, caricarono di rabbia il giovane a tal punto, da scagliare l’albero fino alla terrazza dell’amata. La virilità fu così sancita e il matrimonio celebrato. Oggi la festa è allietata da manifestazioni collaterali che arricchiscono le due allegre giornate. I carretti siciliani sfilano per le vie del paese tra le musiche della banda; gruppi folcloristici e l’immancabile concerto in piazza, allietano i presenti. Le innovazioni introdotte nel corso degli anni, come la gara cronometrica dell’alzata dell’albero, alla quale partecipano anche i maritati, non ha sostanzialmente intaccato gli aspetti tradizionali del rito; anzi, l’estensione agli uomini sposati e anche ai bambini, che gareggiano a parte con un alberello proporzionato all’ancora acerba forza, è testimonianza della vitalità della festa, oggetto di interminabili discussioni nei circoli e caffè del paese. A riprova della vitalità di questa genuina e unica tradizione, la Festa di li schetti viene organizzata in contemporanea anche in America, dal Club dei terrasinesi a Detroit, nel cui territorio vive un altissimo numero di emigrati terrasinesi. L’albero proviene dalla California, una commovente gigantografia della Chiesa Madre di Terrasini è lo scenario dell’alzata, ma il significato antico del rito dell’albero, simbolo della vita che si rinnova, viene perpetuato, in due luoghi lontanissimi e diversi, dalla stessa comunità che l’ha tramandato nel corso dei secoli. Festa dunque che nonostante l’ineluttabile processo di spettacolarizzazione ha mantenuto i tempi e gli spazi rituali che radicano la festa all’universo culturale agrario. La versione d’oltreoceano, totalmente alienata dal contesto sociale, economico e specificamente culturale, ha totalmente smarrito il significato di festa agraria, traducendosi in una gioiosa sagra dell’albero rivissuta dall’entusiasmo nostalgico dell’emigrante la cui patria tuttavia non è più così lontana, un vuoto ripetersi di gesti animati e reinventati che esprime una fortissima tensione nostalgica verso una mitizzata terra d’origine. Oggi la festa non si svolge più nei due giorni, ma è stata spalmata in una settimana, con aggiunta di sagre di maccarruna e spettacoli alieni al contesto folclorico che si deve preservare. Anche il termine schetti, senza dittongazione, che ancora rivelava la parlata contadina che organizzava la festa, è stato sostituito con schietti, alla marinara, perchè Terrasini è ormai solo paese di mare, mentre la cultura contadina vive ancora nel ricordo degli anziani che ne hanno garantito la sopravvivenza. Caduta anche la barriera di organizzare le alzate in altri periodi dell’anno, fatte per i turisti estivi e prive di ogni contesto originario. Ma la manifestazione, grazie all’entusiasmo dei Comitati, i malati ra fiesta, della Pro Loco e del Comune, è sempre vivissima e spettacolare, un tripudio di colori che annunciano che la Primavera è in piena attività. Voglio dedicare quest’articolo, riedizione modificata di un saggio degli scorsi anni, al compianto Giuseppe Tocco, che ci ha lasciato da poco a 91 anni, esperto della festa, simbolo di una Terrasini che lavora, di un sapere antico che non c’è più.
Foto di Copertina Pro Loco Terrasini. Vietata la riproduzione
Antonio Catalfio – Palermo Post