Da simbolo di legalità, quale doveva essere, a discarica abusiva in mano alla criminalità. La polizia ha sequestrato una vasta area del parco Libero Grassi, diventato ormai da tempo un cimitero di auto rubate. Gli agenti del commissariato di Brancaccio sono intervenuti dopo le segnalazioni dei residenti stanchi di vedere accatastare anche montagne di rifiuti speciali e la procura ha aperto un’indagine per disastro ambientale.
Si tratta di un’ennesima ferita per il parco intitolato all’imprenditore antiracket ucciso dalla mafia che da quasi dieci anni aspira a diventare parco urbano ma ha continuato a essere vittima di degrado e incuria. Nell’ultima commemorazione, Alice Grassi, presidentessa dell’associazione che porta il nome del padre, ha lanciato un ultimatum: se non sarà ripulita la zona e non saranno sbloccati gli 11 milioni di euro destinati all’area verde entro il 31 dicembre chiederà di togliere al parco il nome “Libero Grassi”.
Per quest’area immensa del quartiere Acqua dei Corsari, alla periferia di Palermo, erano stati immaginati spazi per i giovani e attività culturali. Il sogno dell’associazione era quello creare una scuola all’aperto di montessoriana memoria che durante l’estate diventava un centro di educazione ambientale. Erano state pensate aree per il gioco e per lo sport, una vita per il teatro esistente e un museo “open air” diffuso per l’intera area del parco, ispirato al Lousiana Museum di Copenaghen, aree di ristoro e picnic, e piccoli pontili per fruire del mare in sicurezza. Il tutto in mano alle scuole e alle associazioni del terzo settore, a ciascuna delle quali doveva essere assegnata un’area e delle attrezzature, in cambio della manutenzione per una fruizione libera e reale del parco.
Ma il progetto non fu mai realizzato e il degrado nel corso degli anni è stata una costante, dagli inizi del ventesimo secolo in poi, quando nacquero in questo tratto di costa fabbriche di mattoni di cotto, caratterizzate da altissime ciminiere tuttora esistenti, testimonianza di quelle attività industriali. Nel giro di poco tempo, da zona produttiva e balneare, l’area divenne simbolo della mala amministrazione che caratterizzava in quegli anni la città, gli stessi anni in cui Libero Grassi aveva scelto di tornare a vivere a Palermo. Nel 1959, nei “giorni del sacco edilizio”, Palermo venne sventrata da 4.000 licenze edilizie concesse in poche ore dall’allora assessore Vito Ciancimino nella giunta del sindaco Salvo Lima e la zona divenne la discarica degli sfabbricidi e del terreno degli sbancamenti.
Anno dopo anno furono riversati su questa area centinaia di migliaia di metri cubi di nuovo materiale fino alla realizzazione di un altura di circa venti metri, estesa per diversi ettari, visibile da quasi tutta la città, chiamata “mammellone”. Finalmente, dopo tanti anni di progetti di risanamento seguiti puntualmente da un nulla di fatto, nel 2005 si iniziò a lavorare per mettere in sicurezza l’area. Furono messi in atto tutti gli interventi utili per fermare l’erosione della costa e vennero realizzati un teatro all’aperto e dei sentieri, insieme alla sistemazione a verde con centinaia di alberi e piante. I lavori furono conclusi nel 2008 e collaudati nel 2009 ma non seguì mai la pubblica fruibilità dell’area che dal 2009 fu di nuovo abbandonata, in un rimpallo di responsabilità tra Comune e Regione.
Nel 2013 il parco è stato intestato a Libero Grassi. Il 29 agosto 2018, insieme alla Regione e al Comune, è stato sancito l’impegno a operare congiuntamente per bonificare l’area e aprire il più presto possibile il parco. Nel 2020 sono iniziati i lavori di bonifica e nel 2022 l’iter dovrebbe essere concluso. Ma la strada, evidentemente, sembra ancora lunga.