Se sei fuorisede non ti fanno votare

Claudia Rizzo
da Claudia Rizzo
13 Minuti di lettura

La legge è uguale per tutti? A quanto pare no, se sei un fuorisede non hai lo stesso diritto al voto degli altri. Una questione che va avanti da quando esiste la Repubblica e che ancora non ha trovato una soluzione, nonostante le urne vengano disertate sempre più spesso.

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D’altronde, ultimi sondaggi alla mano, non è un mistero che l’ombra dell’astensionismo pesi come un macigno. Tanto che tutti i leader politici, prima del silenzio elettorale, si sono lanciati, chi più chi meno, in accorati appelli per convincere quante più persone possibili a partecipare alle consultazioni di domani.

Eppure, forse dimenticano, in molti casi la scelta di non votare non è dettata dalla propria volontà. In Italia, infatti, la legge prevede soltanto pochissime deroghe per chi decide di votare nella città di domicilio e non di residenza (come avviene per i militari, ad esempio).

La platea dei cosiddetti “astensionisti involontari”, la cui voce rimane inespressa, è davvero considerevole. Al momento sono circa 5 milioni i cittadini che si sono trovati a scegliere se tornare a casa per esprimere la propria preferenza o meno e che, potenzialmente, potrebbero essere in viaggio proprio in queste ore. Uno spostamento obbligatorio, complicato e gravoso soprattutto per chi ha meno disponibilità economiche, come nel caso di studenti e lavoratori precari.

Ma perché è così difficile permettere ai fuorisede di votare, mentre un italiano che vive all’estero lo può fare con facilità? Perché i fuorisede non sono stati ancora messi nelle condizioni di poter eleggere dei rappresentanti politici alle elezioni?

Lo abbiamo chiesto a Stefano La Barbera, palermitano e presidente del comitato civico “Io voto Fuori Sede” che, da ben quattordici anni, si batte per far approvare una legge che garantisca il diritto di voto davvero a tutti.

fuorisede stefano

Stefano, perché avete sentito l’esigenza di fondare il comitato “Io voto fuori sede”?

“Io voto fuori sede” è nato nel lontano 2008, quando io stesso ero un fuorisede. Studiavo al Politecnico di Torino e, durante gli anni, avevo perso moltissime tornate elettorali. Con altri amici nella stessa condizione abbiamo quindi deciso di fondare il comitato per sollevare la questione nell’opinione pubblica, che fino ad allora non si era ancora posta il problema.

Siamo stati spinti dalla rabbia dopo avere scoperto, grazie ad alcuni studenti che facevano l’Erasmus in Italia e che sono rimasti stupiti dalla nostra impossibilità di votare a distanza, che il nostro è l’unico Paese in Europa (insieme a Malta e Cipro, che però sono geograficamente più piccoli) a non garantire tale diritto.

Un’ingiustizia soprattutto per i pendolari di lungo raggio (cioè i meridionali) che, oltre ad avere già meno diritti e opportunità rispetto ai coetanei, non possono neanche votare.

Sono passati 14 anni da allora, in tutto questo tempo la politica non si è mai occupata (e a quanto pare continua a non farlo) di una questione così importante?

Quando siamo nati, nel dibattito politico non esisteva neanche il tema del voto fuorisede, siamo stati noi a portarlo all’attenzione dell’opinione pubblica. All’inizio, quando lanciammo una petizione online, insieme alle moltissime firme arrivò quasi subito la risposta del senatore Stefano Ceccanti con un primo disegno di legge che proponeva un voto per corrispondenza solo ed esclusivamente per gli studenti universitari. Il che, chiaramente, non garantiva il diritto di voto a livello universale.

Dopo questo tentativo, la questione è entrata sempre di più nel dibattito pubblico e politico, tanto è vero che durante quest’ultima campagna elettorale è diventato uno dei temi centrali e i politici stanno prendendo sempre più posizione.

Di fatto, però, non c’è stato mai un impegno concreto. Al di là dei disegni di legge presentati e lasciati morire nei cassetti del parlamento, si è riscontrata una grande resistenza da parte del Ministero dell’Interno.

È quindi una questione di volontà politica, non di logistica?

Sì, se in tutti gli altri Paesi europei tale diritto viene garantito significa che anche l’Italia potrebbe risolvere il problema. Ed è davvero inconcepibile che nel 2022 lo Stato non riesca ancora a organizzare un sistema che permetta ai cittadini che ne hanno necessità di votare a distanza.

Inconcepibile soprattutto alla luce del sempre crescente astensionismo. Quanti sono gli elettori fuorisede che non potranno votare neanche stavolta?

Secondo stime istat, sono 4,9 milioni. Un dato che troviamo nel Libro bianco “Per la partecipazione dei cittadini, come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”, pubblicato lo scorso aprile e voluto dal Ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà.

Lo studio, grazie al lavoro svolto dalla Commissione presieduta dal professore Bassanini, risponde finalmente alle questioni che abbiamo sollevato e denunciato con l’azione del nostro comitato in tutti questi lunghissimi anni.

Quasi 5 milioni, non parliamo di pochi elettori. Chi sono i fuorisede più penalizzati?

I meridionali. Sappiamo bene, infatti, che i pendolari di lungo raggio sono soprattutto studenti e lavoratori che emigrano da Sud a Nord.

Senza dubbio c’è anche un forte pendolarismo interregionale nel Settentrione, ma i più penalizzati rimangono comunque i residenti nelle Isole, nelle regioni meno collegate (come Calabria e Puglia) o in quelle più isolate come il Molise. Molti di questi luoghi sono esclusi dall’alta velocità e l’unico modo per raggiungere il proprio comune di residenza è tramite un volo. Per cui il dispendio di energie, sia in termini economici che di tempo, non è per nulla indifferente.

Non tutti possono permettersi di pagare un volo. Esistono agevolazioni economiche in tal senso?

Sì, sono previste da sempre delle agevolazioni. Arrivano in genere al 70% per gli spostamenti in treno e al 50% per quelli in aereo. Nella convenzione fatta con ita Airways, però, sono escluse le tasse aereoportuali, per cui il biglietto può costare anche oltre cento euro, risultando più convenienti le compagnie low cost. In ogni caso si è visto che questi rimborsi, durante le scorse elezioni, sono stati utilizzati soprattutto da elettori interessati a spostamenti di corto raggio. Chi si trova ad affrontare spese più ingenti preferisce non affrontare i costi. Non è quindi la soluzione efficace.

E i lavoratori hanno permessi retribuiti per tornare a casa a votare?

Non ci risulta.

Come permettere, quindi, a chi è fuorisede di votare anche se non si trova nella città di residenza?

La soluzione è prospettata nel Libro Bianco ed è una soluzione che raccoglie tutte le istanze e le richieste che da anni proviamo a portare avanti.

Cioè?

Innanzitutto si prevede l’introduzione di due election day in cui tenere tutte le elezioni di ogni ordine e grado piuttosto che spalmarle durante l’anno, permettendo così una gestione più agevole della macchina organizzativa. In secondo luogo, l’introduzione di un election pass, ossia la digitalizzazione della tessera e delle liste elettorali. Sul modello del riuscito Green Pass, questo strumento potrebbe permettere di avere un qrcode stampabile col quale accedere a qualsiasi seggio elettorale e grazie al quale verificare e smarcare l’elettore, risultando così in tempo reale nei registri elettorali il voto in modo da non poterlo ripetere.

E dove dovrebbero votare i fuorisede?

La proposta della Commissione del Libro Bianco è il voto anticipato presidiato, presso seggi speciali istituiti negli uffici postali. Essendo questi ultimi capillarmente diffusi, ciò consentirebbe all’elettore che ha difficoltà a recarsi al seggio nei giorni previsti per la votazione di esercitare il suo diritto di voto nei giorni precedenti l’elezione in qualunque parte del territorio nazionale, con le garanzie del tradizionale procedimento elettorale. Basterebbe poi spedire i voti nei seggi di residenza degli elettori in modo da scrutinarli insieme agli altri.

Avete scritto ai segretari e leader dei vari partiti, cosa avete chiesto?

Abbiamo fatto un appello chiedendo loro di impegnarsi pubblicamente e con una video dichiarazione a implementare un disegno di legge secondo quanto proposto nel Libro bianco entro i primi sei mesi di mandato. D’altronde la soluzione è già disponibile, i parlamentari non devono fare nulla.

Chi vi ha risposto?

Fratoianni, Letta, Salvini, Berardini e Civati. In queste ore dovrebbero arrivare i video di Calenda e Conte e siamo in attesa di Meloni che, però, ancora non ci ha risposto.

Dal momento che quasi 5 milioni di elettori non potranno votare, secondo lei il 25 settembre in qualche modo l’esito del voto sarà “falsato”?

Assolutamente sì, è quello che denunciamo da quattordici anni. Ci sono 5 milioni di fuorisede che non sono rappresentati e che vengono esclusi dalla democrazia. Un fatto gravissimo soprattutto per le regioni meridionali e per i giovani che, in questo modo, si ritrovano ad avere poca rappresentanza politica. È ovvio che poi questo abbia un risvolto anche nelle policy che vengono attuate. Non è un caso che quelle regioni perdono tante occasioni, ritrovandosi spesso a fare politiche orientate al clientelismo e alla produzione di sacche di precariato piuttosto che investire nei giovani e nel futuro.

Purtroppo per domani ormai è tardi, ma come si immagina le successive elezioni?

Il mio augurio e la mia speranza è che questa sia l’ultima legislatura a non prevedere il voto per i fuorisede e che alle prossime elezioni questo diritto venga garantito. Se questo non dovesse avvenire, stiamo comunque portando avanti una battaglia anche dentro le aule del tribunale.

Di che si tratta?

Abbiamo depositato un ricorso al Tribunale di Genova per conto di 5 elettori che non hanno potuto votare nel 2018, chiedendo che sia dichiarata incostituzionale la legge elettorale nella parte in cui non garantisce il diritto di voto a chi è fuorisede, discriminando di fatto questa fetta di elettori rispetto a coloro cui questa possibilità è concessa, come ad esempio militari, detenuti o degenti in strutture ospedaliere. La prima udienza è prevista il 4 novembre prossimo…

Crede che ce la farete a vincere questa battaglia?

Sì, siamo convinti che questa strada, qualora la politica non dovesse dare una pronta risposta (come promesso nelle varie video dichiarazioni), ci consentirà di arrivare lo stesso a vedere riconosciuto il nostro diritto.

Claudia Rizzo – Palermo Post

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