Ci sono giorni che finiscono sul calendario e giorni che finiscono nell’anima. Il 3 luglio è uno di questi. Una data cerchiata in nero sul calendario sentimentale di un’intera nazione, un anniversario che non ha bisogno di promemoria. È la cicatrice che non guarisce, il ricordo agrodolce delle nostre “Notti Magiche”, il momento esatto in cui il sogno si spezzò.
Italia ’90. Era un Paese intero che si era scoperto unito come non mai, stretto attorno a una squadra solida, arcigna, che non doveva essere bella, ma doveva vincere. E lo stava facendo, trascinata da un eroe che nessuno si aspettava. Salvatore Schillaci da Palermo, per tutti Totò. Un attaccante di riserva, gettato nella mischia quasi per disperazione e diventato, nel giro di due settimane, l’idolo di sessanta milioni di persone con i suoi occhi spiritati, le sue corse rabbiose, i suoi gol “sporchi” ma tremendamente pesanti.
Quella sera, al San Paolo di Napoli, il destino sembrava aver scritto l’ennesimo capitolo della sua favola. L’avversario era l’Argentina di Maradona, il dio di quella città. La tensione si tagliava a fette. Poi, al minuto 17, accade. Un’invenzione di Giannini, una mezza rovesciata di Vialli che il portiere respinge a fatica. La palla resta lì, a mezz’aria, una preghiera sospesa che aspetta solo di essere esaudita. Ci arriva lui, Totò. Non con un tiro pulito, non con un colpo da manuale. Ci arriva d’istinto, di fame, di rabbia. Con la tibia, si dirà. Un tocco sporco, goffo ma disperatamente voluto. La rete si gonfia. È uno a zero. Lo stadio esplode in un boato che fa tremare il Vesuvio. È il culmine, l’apoteosi del sogno italiano.
Ma il calcio, come la vita, sa essere spietato. Un colpo di testa di Caniggia, un figlio del vento con i capelli d’oro, gela il San Paolo e rimette tutto in discussione. Poi, la lotteria dei rigori, la più crudele delle conclusioni. E lì, l’Argentina ha il suo stregone, Goycochea, l’ipnotizzatore dal dischetto. Il resto è storia, una storia di lacrime e di silenzio. Il sogno finisce lì. E ogni volta che parte quella canzone, ogni volta che arriva il 3 di luglio, torniamo tutti a quella notte, a inseguire quel gol, a chiederci come sarebbe andata a finire se solo il finale fosse stato diverso.
L’uomo che sono sente ancora le lacrime del ragazzo che fui per quel sogno spezzato che oggi, senza più Totò e con un calcio italiano quasi macchiettistico, hanno un sapore ancora più amaro.



