“Ammucciare”, il verbo siciliano che significa nascondere, viene proprio da lì, dalle Muchate arabe che si celano sotto la città. Sono cave sotterranee che si sono diffuse nel periodo della dominazione araba e che hanno fatto bella Palermo, così come la vediamo oggi, perché laggiù veniva ricavato il materiale di costruzione per le chiese, per i palazzi e per i monumenti.
Decine di chilometri di gallerie che si srotolano dal Papireto, ai Danisinni, fino a Ciaculli. Una rete sotterranea di cave di calcarenite, in attività fino agli anni Trenta del secolo scorso, che si estende da un punto all’altro della città.
Le prime che si conoscono sono di origine fenicia. Fu probabilmente per costruire le mura della città che furono aperte le fosse Garofala e Danisinni, appunto le più antiche cave di Palermo.
Quando arrivarono gli arabi prima e i normanni poi, la rapida espansione urbana della città richiese un’enorme quantità di materiale per le costruzioni, anche delle case comuni, e il bisogno di aprire nuove cave. Il fatto che fossero sottoterra, al netto del maggior costo economico e di fatica umana, aveva il vantaggio di minimizzare il disturbo per l’ambiente e di evitare di danneggiare i terreni coltivati. La fatica era soprattutto quella dei “carusi”, bambini e ragazzini che avevano perlopiù tra gli 8 e i 15 anni, che le scavavano, lavoravano nelle cave in condizioni estreme e con il rischio molto concreto di ammalarsi.
Le prime cave erano ubicate dentro la città, Poi con il passare dei secoli si spostarono verso nord, cioè verso Monte Pellegrino, e verso sud, dal Trans-Kemonia, nell’Albergheria, al rione Oreto, dove tutt’ora si trovano sbocchi delle gallerie.
Nell’Alto medioevo, le Muchate, insieme alle fornaci e agli stazzoni, erano elementi comuni nel paesaggio suburbano di Palermo ed esistono numerosi documenti, risalenti al periodo che va dal XIII al XV secolo, che fanno riferimento alle Muchate, anche dette pirrere.
Una delle cave più estese si trova sotto via Castellana Bandiera e arriva fino alla Fiera del Mediterraneo e si sviluppa su tre livelli.
Nel corso del tempo alcune Muchate sono state riutilizzate. Durante la seconda guerra mondiale, sono state utilizzate come rifugi antiaerei le Muchate della Balata, della Castellana, delle Croci, di Villa Sperlinga, del Ciardone. In altre, come la Muchata di via Ammiraglio Rizzo, grazie alle condizioni ambientali favorevoli, sono state impiantate delle fungaie
Oggi, muniti di elmetto e torcia, e sotto la guida di esperti, le Muchate arabe si possono visitare grazie a escursioni a cura di associazioni e giovani appassionati che fanno scoprire un patrimonio di bellezza siciliana spesso inesplorato.