Quando in estate soffiava lo scirocco, il vento caldo proveniente da sud-est, la nobiltà palermitana, alla fine del 1600, aveva trovato un modo per sopravvivere anche alle temperature più insopportabili. Le chiamavano “camere dello scirocco” ed erano delle grotte artificiali, ricavate ad arte nella roccia calcarenitica delle ville e delle case di caccia in cui ci si spostava durante la cosiddetta “grande villeggiatura”, all’interno delle quali trovare refrigerio nelle giornate più torride.
L’utilizzo della camera dello scirocco era molto diffuso a Palermo tra il XVI e il XVIII secolo. La definizione si trova per la prima volta in un documento del 1691, in cui si fa riferimento a una stanza sotterranea della Villa delle Quattro Camere del duca di Terranova, ma il sistema è sicuramente antecedente e in tutti i suoi esempi, in giro per la città e nei suoi dintorni, era accomunato da tre elementi: la grotta, la corrente d’aria e l’acqua. Quando si entrava in una camera dello scirocco, quello che di solito ci si trovava davanti erano piastrelle decorate sulle pareti della roccia, piccoli corsi d’acqua che seguivano il perimetro della stanza e a volte sfociavano in piccole cascate, piante rampicanti. A garantire la frescura erano le correnti d’aria e in alcuni casi queste erano generate da vere e proprie torri del vento.
La camera dello scirocco probabilmente più antica è quella di Villa Naselli Agliata, nella vecchia borgata contadina di Villagrazia, un tempo chiamata contrada Ambleri, che in arabo significa “fonte cristallina” ed è il nome della sorgente d’acqua che ancor oggi scaturisce nel giardino della villa. Da quello che si dice, pare che la villa sia stata edificata sui resti di alcune costruzioni di età araba poste proprio a difesa della fonte Ambleri ma la prima famiglia proprietaria di cui si hanno notizie certe è quella degli Alliata (o Agliata) di Villafranca che la possedevano già dalla seconda metà del XV secolo. Nel Settecento la proprietà è passata ai conti Naselli dei duchi di Gela che tuttora ne sono proprietari e ai quali si deve la veste architettonica che vediamo oggi, in particolare dopo l’ultimo restauro curato dal conte Francesco Paolo Naselli che ne ha anche arricchito il giardino di piante esotiche, come il kiwi e l’anona.
Alla villa si accede dal portale seicentesco sormontato dallo stemma di famiglia. Gli edifici sono disposti attorno a una corte: c’è l’abitazione padronale con annessa una torre neogotica e un giardino pensile barocco, i corpi bassi, un tempo stalle e magazzini, e la cappella in stile neogotico edificata a fine Ottocento. Tutto attorno c’è ancora l’antico agrumeto. È stata proprio la sua camera dello scirocco a rendere celebre la villa. A volere l’opera idraulica per la captazione dell’acqua di Ambleri, ma anche un luogo fresco per le afose giornate estive, è stato Gerardo Alliata che l’ha fatta costruire nel 1552. Ma è stato suo fratello, Giovan Battista Alliata, cavaliere della religione Gerosolimitana e personaggio molto stravagante, a renderla famosa in tutta Palermo per le feste che organizzava proprio al suo interno invitando i rappresentanti della più alta nobiltà dell’epoca.
Si tratta di una galleria che si sviluppa sotto il giardino, con la volta a botte bucata da diversi pozzi di luce e una rotonda centrale sormontata da una torre di forma tronco-conica, oltre la quale si trova un ambiente in cui scaturiscono le acque della fonte Ambleri. L’acqua della sorgente è convogliata all’interno di un canale che corre al centro della galleria, per essere poi immessa nell’acquedotto e usata per gli agrumeti circostanti. Il complesso di ambienti ipogei sono perfettamente descritti da Vincenzo Di Giovanni in “Palermo Restaurato” del 1613 ed è rimasto e sono rimasti immutati nel corso di cinquecento anni.