Eutanasia legale, intervista a Marco Cappato: “La società è più che pronta”

Claudia Rizzo
da Claudia Rizzo
9 Minuti di lettura
Credits Michael Braha

Era il 27 febbraio del 2017 quando l’Italia intera fu scossa dalla notizia della morte di Fabiano Antoniani, noto a tutti come dj Fabo, rimasto tetraplegico a seguito di un incidente e che a quarant’anni scelse di morire con il suicidio assistito in una clinica Svizzera grazie al sostegno di Marco Cappato.

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«Sono finalmente arrivato in Svizzera, e ci sono arrivato purtroppo con le mie forze e non con l’aiuto dello Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore»: annunciava con queste parole sofferte il suo addio su Twitter.

Al suo fianco c’era l’esponente dell’associazione Luca Coscioni, che il giorno successivo si autodenunciò e che fu assolto dall’accusa di aiuto al suicidio due anni dopo, il 23 dicembre del 2019.

Proprio l’attivista milanese è arrivato in questi giorni in Sicilia per presentare il referendum sull’eutanasia legale in giro per l’isola. È partita ieri infatti, da via Generale Magliocco a Palermo, la tre giorni che vuole imprimere un’accelerata alla raccolta firme. Entro il 30 settembre bisogna ottenere 500 mila adesioni.

Già 250 mila le firme raccolte, 8 mila delle quali soltanto nella nostra isola, grazie al supporto di moltissime associazioni e di oltre diecimila volontari sparsi in tutto il Paese, che hanno appoggiato l’iniziativa con grande entusiasmo.

Il quesito referendario si pone «l’obiettivo di introdurre l’eutanasia legale tramite l’abrogazione parziale dell’art. 579 c.p., che punisce l’omicidio del consenziente. Tecnicamente il quesito lascia intatte quindi le tutele per le persone vulnerabili, i minori di 18 anni, le persone che non sono in grado di intendere e volere, quelle il cui consenso è stato estorto, e potrà introdurre nel nostro Paese il diritto all’aiuto medico alla morte volontaria».

«Chi chiede l’eutanasia chiede di morire con dignità»: è questo lo slogan con cui l’associazione porta avanti con convinzione la campagna. Abbiamo chiesto cosa significhi «morire con dignità» a Marco Cappato, che ci ha anche raccontato le ragioni che lo hanno spinto alla disobbedienza civile e al referendum, in un Paese che fa ancora fatica a garantire la libertà di scelta individuale in alcuni ambiti strettamente legati alla persona.

Perché, in Italia, ci si ritrova in una caldissima estate a dover raccogliere le firme per un referendum che chiede di rendere legale l’eutanasia?

Perché il Parlamento non ha voluto affrontare il tema. Sono passati otto anni dal deposito della nostra legge di iniziativa popolare e ci sono stati perfino due richiami della Corte Costituzionale, ma nonostante tutto il Parlamento non ha mai voluto affrontare il tema. Perciò o consegniamo le firme entro settembre oppure se ne parlerà, forse, tra molti anni nelle prossime legislature. È, quindi, adesso il momento per farlo. Anche perché la sensibilità delle persone, da quello che vediamo ai tavoli, è enorme.

Dal 2013 giace nel cassetto, per l’appunto, la vostra proposta di legge per la legalizzazione dell’eutanasia. Perché secondo lei il Parlamento continua a non volerne discutere?

Perché i capi dei partiti hanno paura di affrontare questi argomenti in quanto temi trasversali che toccano le vite delle persone dove l’ordine del partito conta poco. Noi infatti stiamo raccogliendo moltissime firme nonostante nessuno dei grossi partiti abbia dato, a livello nazionale, indicazioni specifiche a riguardo. Quello che notiamo, però, è che sono moltissimi i territori, le organizzazioni e gli esponenti locali che si stanno mobilitando.

Secondo lei il nostro Paese è pronto per una legge del genere?

La società è più che pronta, da molto tempo ormai. Non è la prima volta che il Paese è più avanti del suo ceto politico. Non lo dico io, lo dicono tutti i sondaggi sul tema che parlano di un consenso che va dal 70% al 90%. Significa che, nonostante le grandi trasmissioni politiche e i capi di partito si rifiutino di parlarne, c’è comunque un consenso molto grande e questo avviene perché le persone sanno di cosa stiamo parlando, perché l’hanno vissuto in famiglia, perché conoscono personalmente la sofferenza di un malato terminale e non hanno bisogno che glielo spieghi un capo partito.

Uno dei vostri slogan è “Chi chiede l’eutanasia vuole solo morire con dignità”. Cosa significa “morire con dignità”?

Per ciascuno significa una cosa differente. Significa morire senza dovere subire condizioni e situazioni che una persona non vorrebbe. Ovviamente siamo tutti diversi, davanti alla sofferenza, davanti alla malattia, davanti alla morte. Il punto è che ciascuno stabilisce la propria soglia di sopportazione e di dolore, per cui la misura della propria libertà di scelta è la misura della propria dignità. Dover invece subire le scelte degli altri offende la dignità delle persone.

Cosa significa per lei “libertà”?

Libertà va insieme a responsabilità. Nel senso che non è una parola leggera, superficiale. Proprio per questo l’esercizio della libertà non può essere fatto nella clandestinità, ma deve essere fatto nella legalità, avendo al proprio fianco l’aiuto e il supporto delle Istituzioni e dello Stato.

Cosa la spinge a commettere atti di disobbedienza civile e a lottare per i diritti non ancora garantiti nel nostro Paese?

Da una parte ci sono persone che me lo hanno chiesto e quindi ho sentito un dovere morale. E dato che quelle persone non giovavano della risposta delle Istituzioni, a quel punto mi sono assunto la responsabilità di forzare la mano rispetto alla legge. La Corte Costituzionale, tra l’altro, mi ha dato ragione e sono stato assolto. Il problema è che sono trascorsi molti anni, mentre un malato terminale non ha anni da aspettare. Deve potere ottenere il proprio diritto subito.

Riaccompagnerebbe DJ Fabo in Svizzera per dargli la possibilità di scegliere come e quando morire?

Certamente. Proprio perché lo consideravo un mio dovere, a maggior ragione se penso che oggi è stato anche riconosciuto come un suo diritto. Ciò significa che le persone nelle sue condizioni devono potere decidere.

L’altro giorno a uno dei banchetti organizzati dai vostri volontari per la raccolta delle firme mi ha colpito una signora che, nonostante fosse contraria all’eutanasia, ha voluto comunque firmare per poter permettere a tutti di dire la propria qualora il referendum dovesse riuscire a essere indetto. Un gesto che non ci si aspetterebbe in un Paese dove spesso le questioni vengono affrontate da tifosi, non crede?

È un gesto molto importante. Perché oggi non firma soltanto chi è d’accordo con noi, ma anche chi ritiene sia arrivato il momento di prendere una decisione e che lo debba fare direttamente il popolo italiano. È quindi una firma doppiamente rispettosa, che onora il metodo democratico che, grazie alla nostra Costituzione, ci dà una scheda per eleggere i parlamentari ma anche una scheda per abrogare le leggi quando quelle leggi non sono più in sintonia con la società.

La campagna referendaria è stata accolta con favore da moltissime persone, sia in termini di firme che di volontari che, con quaranta gradi e il sole, decidono di rinunciare al mare per dare il proprio supporto. Come mai, secondo lei, questa grandissima mobilitazione, che ha peraltro coinvolto anche chi non ha mai fatto politica?

Questo non è un referendum contro nulla. Non c’è la Destra contro la Sinistra, non ci sono i laici contro i cattolici perché in realtà un cattolico può essere anche laico, non è uno scontro fra Nord e Sud, centro e periferie. È un tema che le persone hanno vissuto e che conoscono e sanno che, con l’eutanasia legale, nessuno avrebbe un diritto in meno. Ecco perché c’è questo tipo di entusiasmo e di risposta: perché questo referendum unisce e non divide.

Claudia Rizzo – PalermoPost

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