Non c’è traccia di vita a Borgo Schirò. Quello che ci si trova davanti è solo un paesaggio spettrale, tetro e inquietante come il periodo in cui fu fondato. È stato infatti il primo centro rurale a essere consegnato, nel 1940, tra quelli pianificati per attuare l’assalto al latifondo proclamato da Mussolini l’anno precedente. L’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano, l’ECLS, aveva stabilito che i borghi dovevano essere intitolati a martiri fascisti o a coloro i quali, per qualche ragione, si fossero distinti per la causa nazionale. E così il borgo situato nel territorio vastissimo di Monreale, in un’area a forte vocazione agricola a una decina di chilometri da Corleone , venne chiamato Schirò, come Giacomo Schirò, giovane bersagliere di etnia arbëreshë trucidato negli anni Venti durante una festa di paese con 53 coltellate. I lavori iniziarono il 21 ottobre 1939.
Borgo Schirò, come tutti i borghi di fondazione fascista, si sviluppa attorno a una piazza a impianto rettangolare e comprende una trentina di abitazioni e diversi edifici, una chiesa e una canonica, una scuola, un ambulatorio medico, laboratorio antimalarico, un tabacchi, un salone da barba, un negozio di generi alimentari. Nel suo periodo migliore vivevano qui circa un centinaio di persone. Negli anni Settanta, invece, è iniziato lo spopolamento che ha portato all’abbandono totale, anche se pare che l’ultima messa sia stata celebrata intorno al 2000.
Oggi è una delle più note ghost town della Sicilia che attrae il cosiddetto dark tourism. Le sterpaglie si sono impadronite degli edifici fatiscenti, pieni di crepe e vicini al crollo.
Su una stele si legge il nome del borgo. La scuola si trova in fondo alla strada di accesso, con il suo porticato ad archi e l’insegna che ne definiva l’identità ancora leggibile. Al suo fianco si trova la torre littoria che, con molta probabilità, un tempo ospitava un serbatoio di acqua potabile, di fronte, invece, un abbeveratoio fatto di mattoni rossi. Anche il negozio di generi alimentari, il salone da barba, il laboratorio antimalarico e l’ambulatorio medico sono ancora in piedi, e anche questi sono caratterizzati dalla tipica architettura del regime e dalle rispettive insegne ancora perfettamente visibili. Sulla facciata del municipio è ben leggibile la sigla “ELCS”, Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano, il piano superiore dell’edificio ospitava la sede del Partito Nazionale Fascista. Nei primi anni di abbandono rimasero attivi solo la chiesa, il negozio di generi alimentari e il tabacchi gestiti dalla famiglia Solazzo. A causa di continue rapine però non durarono a lungo. La chiesa fu l’ultima a restare in vita anche se i ladri l’hanno completamente spogliata, portando via i banchi, le sedie, le statue della Madonna di Lourdes e di San Lorenzo e i paramenti sacri. Oggi all’interno rimane solo l’altare e alcune scritte fatte con la vernice a spray.
Il terremoto del Belice del 1968 fece dei danni irreparabili a tutti gli edifici. Nel 1997 alcuni studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Palermo realizzarono dei murales lungo le pareti di borgo Schirò che oggi rendono il posto ancora più inquietante. Ed è forse proprio per questo che, nonostante sia pericolante e quindi poco sicuro considerate le condizioni in cui versano gli edifici, attira l’interesse di curiosi e appassionati di posti abbandonati.