Suicidio a Partinico. Il caso non è ancora da archiviare

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da Redazione
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Suicidio a Partinico, nell’ormai lontano 2020.

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Francesco Biagiotti non va dimenticato e il suo caso non deve essere archiviato. Il gip Marco Gaeta, ha accolto l’opposizione presentata dai congiunti della vittima contro la richiesta di archiviazione del procedimento penale formulata dalla procura di Palermo. Ha ordinato, infatti, di proseguire le indagini sul tragico evento avvenuto il 12 settembre 2020. Il cinquantaquattrenne di Borgetto (Palermo) si è tolto la vita nel reparto di Psichiatria dell’ospedale civico di Partinico, dove avrebbero dovuto sorvegliarlo a vista.

Biagiotti lavorava come guardia forestale e da tempo era affetto da una grave forma depressiva. Nei due giorni precedenti al tragico evento tentò il suicidio non riuscendoci per la tempestività dei carabinieri della stazione locale. Le forze dell’ordine, una volta fermato, lo convinsero a farsi aiutare dai sanitari del 118 che lo hanno trasportato al pronto soccorso del nosocomio di Partinico. Qui, a seguito di consulenza psichiatrica,  è stato ricoverato presso l’unità operativa Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, con diagnosi d’ingresso di “tentativo di suicidio in paziente con deflessione timica”.

Tutti i medici che l’avevano seguito e visitato, dall’accesso in ospedale fino all’accettazione allo Spdc, avevano definito il quadro clinico, patologico e familiare del paziente. Come loro, anche gli operatori sanitari avrebbero dovuto avere ben chiaro il quadro della situazione. Tanto più perché l’indomani, 11 settembre, dal reparto di  Psichiatria era stato ricondotto al Pronto Soccorso, con codice giallo e diagnosi di “deflessione del tono dell’umore e impulsività grave”. Salvo poi essere riportato nel reparto di degenza.

Il decesso

E’ il 12 settembre, sono le 3.20 e durante uno dei tanti giri di controllo dei pazienti, un’infermiere ha rinvenuto la salma di Biagiotti il cui collo era legato, con dei lacci di scarpe, alla grata in ferro del balcone esterno alla sua camera. Il decesso, che si poteva far risalire approssimativamente tra le 0.30 e le 2.30, è dovuto ad arresto cardiocircolatorio compatibile con l’asfissia meccanica da impiccamento. A sostenerlo è la Dott.ssa Chiara Stassi, medico legale incaricato di effettuare l’ispezione cadaverica sulla salma dal PM di turno della procura.

Sono diversi i punti che destano numerose perplessità nelle sorelle della vittima, assistite da Studio3A e dall’avvocato Vincenzo Di Giovanna, del foro di Sciacca:

  • la mancata predisposizione di un servizio di vigilanza continuativa su un soggetto a così alto rischio di suicidio;
  • l’omesso controllo e il sequestro del vestiario del paziente e di tutto ciò che avrebbe potuto causare lesioni al paziente stesso.

Di qui la loro convinta decisione di andare a fondo per verificare eventuali responsabilità da parte dei sanitari nel decesso del fratello. Difatti, il 15 settembre 2020 è stata presentata una denuncia querela presso la stazione dei carabinieri di Borghetto. Esposto che ha portato all’apertura di un procedimento penale, contro ignoti, per l’ipotesi di reato di istigazione o aiuto al suicidio. Il magistrato ha subito disposto indagini per chiarire come fosse stato possibile che i lacci, utilizzati per l’impiccamento, potessero essere stati lasciati in uso al paziente.

Il caso non è ancora da archiviare

Il pubblico ministero, con atto dell’11 ottobre 2021, ha chiesto di archiviare il fascicolo. Richiesta contro la quale l’avvocato Vincenzo Di Giovanna in data 2 dicembre 2021 ha proposto una opposizione che è stata discussa nell’udienza fissata un anno dopo, il 30 novembre 2022. Al termine della stessa il giudice Marco Gaeta ha ritenuto non accoglibile la richiesta di archiviazione.

“Non sono state svolte indagini in relazione alla possibile sussistenza del reato di istigazione al suicidio o di quello di omicidio colposo” – scrive il gip. Nella sua ordinanza depositata il 6 dicembre 2022 a scioglimento della riserva assunta nell’udienza, sostiene che  – “l’attività di indagine svolta appare lacunosa. In relazione allo strumento utilizzato per compiere il fatale gesto, non è stato accertato come la vittima si sia procurato le stringhe, non è chiaro se fossero le sue o altre, e non è stato verificato se quelle in uso alla vittima siano state rimosse al momento dell’accesso al reparto di Psichiatria”.

“Inoltre – conclude il giudice – non emerge in alcun modo se il Biagiotti, che si è impiccato nel balcone della propria stanza, si trovasse in un ambiente sicuro all’interno del reparto psichiatrico (luogo in cui dovrebbero essere adottate tutte le cautele necessarie, anche strutturali, al fine di evitare condotte autolesive o suicidarie) e se fosse stato sottoposto ad un controllo attento e accurato dal personale sanitario, stante le sue condizioni psichiche”.

Le disposizioni

Il gip ha quindi disposto, accordando tre mesi di tempo al pubblico ministero, la prosecuzione delle indagini. Queste, infatti, dovranno individuare il soggetto che avrebbe dovuto rimuovere le stringhe alle scarpe di Biagiotti al momento dell’accesso in Psichiatria.

Capire poi se siano state rimosse, se sia stato o meno predisposto un sistema di vigilanza accurato nei confronti della vittima. Se e quali fossero le misure e le cautele presenti nel reparto psichiatrico dirette, impedire o limitare il rischio di eventi analoghi. E, in ultima analisi, se sussistano responsabilità penalmente rilevanti in capo ai sanitari che ebbero in cura la vittima anche per un reato diverso da quello per il quale è stato aperto il procedimento, ossia di istigazione o aiuto al suicidio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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