Nel Rapporto della DIA il salto di qualità della Mafia Siciliana

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Per la DIalA i clan di Cosa Nostra, non riuscendo a ricostruire la Cupola cui spettava il compito di definire le questioni più delicate, hanno adottato “un coordinamento basato sulla condivisione delle linee di indirizzo e dalla ripartizione delle sfere di influenza tra esponenti di rilievo dei vari mandamenti, anche di province diverse”.

È l’analisi contenuta nella Relazione della Dia appena consegnata al Parlamento e relativa al secondo semestre del 2020, nel capitolo dedicato alla mafia siciliana. Nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento Cosa Nostra resta egemone e si registrano ripetuti tentativi di una “significativa rivitalizzazione” dei contatti con le famiglie all’estero: le indagini rivelano come i clan hanno “riaperto le porte ai cosiddetti “scappati” – dicono gli analisti – o meglio, alle nuove generazioni di coloro i cui padri avevano dovuto trovare rifugio all’estero a seguito della guerra di mafia dei primi anni ottanta”.

Nell’area centro-orientale della Sicilia sono invece attive organizzazioni “più fluide e flessibili” che si affiancano ai clan storici. Tra queste, sottolinea la Relazione, “un rilievo particolare é da attribuire alla ‘Stidda’, un’organizzazione inizialmente nata in contrapposizione a Cosa Nostra ma che oggi tende a ricercare l’accordo con quest’ultima per la spartizione degli affari illeciti”.

Le indagini hanno anche evidenziato come alcune di queste organizzazioni hanno fatto “un salto di qualita'” passando da gruppi dediti principalmente ai reati predatori a sodalizi “in grado di infiltrare il tessuto economico-imprenditoriale del nord Italia”. Sempre gli stessi i settori d’interesse sui quali si concentrano le attenzioni dei clan: estorsioni, usura, narcotraffico, gestione dello spaccio di droga, infiltrazione nel gioco d’azzardo illecito e del controllo di quello illegale.

E continua, anche, l’infiltrazione in quelle aree economiche che beneficiano di contributi pubblici, in particolare nei settori della produzione di energia da fonti rinnovabili, dell’agricoltura e dell’allevamento. Infiltrazioni possibili grazie alla “complicita’ di politici e funzionari infedeli”.

Rapporto Dia. La Mafia a Palermo

Non più un vertice autorevole ma “relazioni e incontri di anziani uomini d’onore ai quali viene riconosciuta l’autorità derivante da una pregnante influenza sul territorio, pur in assenza di una formale investitura”. È così che, secondo la relazione della Dia per il secondo semestre 2020, Cosa nostra palermitana detterebbe le sue regole e definirebbe le azioni operative. “Per quanto a oggi noto – ha evidenziato il direttore centrale Anticrimine della Polizia di Stato Francesco Messina – i tentativi di ricostituire un organismo di vertice autorevole, attorno a un leader carismatico, unanimemente riconosciuto, in grado di gestire i rapporti tra le famiglie mafiose, di comporne le eventuali contrapposizioni e di predisporre nuovi schemi e strategie operative non hanno avuto grande successo. Tuttavia, le attuali risultanze investigative sostanzialmente continuano a dare conto dello sforzo continuo di riorganizzarsi per sopravvivere, mediante l’individuazione di nuove figure di riferimento che, pur soggette a un turnover talvolta serrato in ragione delle vicissitudini giudiziarie, riescono comunque a garantire al sodalizio una continuità di azione criminale che si risolve, ancor oggi, in un serio vulnus per l’ordine sociale”.  Cosa nostra palermitana ha intessuto un rapporto con  le cosiddette mafie nigeriane”Si tratta – si legge nella relazione – di strutture criminali che nel tempo risultano essersi insediate con forza crescente nel territorio cittadino palermitano organizzandosi per il controllo stabile di attività illegali quali lo sfruttamento della prostituzione di connazionali, nonché il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Al riguardo, non si esclude che da qualche tempo possa esistere un placet di cosa nostra sull’operatività dei sodalizi nigeriani nel proprio territorio con un conseguente stato di non conflittualità. È tuttavia ipotizzabile che gli equilibri possano mutare verso una maggiore autonomia di tale matrice ma in ambiti criminali e in spazi territoriali delimitati e circoscritti”. Diverso il rapporto con le altre organizzazioni criminale di matrice etnica che, spiega la Dia, Cosa nostra “sfrutta per la cooperazione in ruoli marginali o delle quali tollera l’operatività in attività illegali ritenute secondarie e di non diretto interesse”. Sul fronte della pervasività mafiosa nella pubblica amministrazione é emblematico il caso Partinico, che rappresenta un esempio di come Cosa nostra si sia infiltrata nella gestione politico amministrativa degli enti locali.  Al 10 giugno 2021, in provincia di Palermo, le amministrazioni comunali sottoposte a gestione commissariale sono quelle di San Cipirello, Torretta, Mezzojuso e, appunto, Partinico. Gli esiti dell’accesso ispettivo presso il Comune di Partinico, disposto dalla Prefettura di Palermo, hanno consentito di accertare “interessenze, emerse da indagini giudiziarie, di consiglieri comunali con esponenti di spicco della criminalità organizzata nonché legami di parentela e di frequentazione di altri amministratori comunali e dipendenti con soggetti controindicati ovvero con un contesto criminale e mafioso”. La relazione prefettizia inoltre “si sofferma sulle procedure di gara per l’affidamento di importanti servizi quali la gestione della raccolta e del conferimento dei rifiuti e dei servizi socio assistenziali. In particolare il Comune di Partinico ha posto in essere procedure di gara a carattere non concorrenziale, non garantendo adeguati livelli di trasparenza e conoscibilità delle stesse gare”.  Occhi aperti anche per il possibile interesse mafioso per la realizzazione di un Centro per le biotecnologie e la ricerca biomedica nel comune di Carini (Palermo) è “un’opera alla quale dedicare un attento monitoraggio per l’entità dei finanziamenti stanziati e per la rilevante ricaduta economica che produrrà sull’intero comprensorio”. E’ quanto evidenziato nella relazione della Dia sul secondo semestre 2020 sulla provincia di Palermo.

Rapporto Dia. La Mafia a Catania

Anche Cosa nostra catanese ha, in termini generali, “compiuto un’evoluzione verso una minore violenza privilegiando azioni utili ad agevolare infiltrazioni in ambienti professionali, nelle amministrazioni pubbliche e nell’economia legale”. La violenza resta “un elemento connaturante della mafia che può limitarne l’uso ma riutilizzarla se ritenuta funzionale al raggiungimento di obiettivi prioritari”. E’ quanto emerge dalla relazione della Dia per il secondo semestre 2020 sulla provincia di Catania. Le organizzazioni mafiose catanesi “continuano a rivestire un ruolo egemonico nell’intera area orientale dell’isola, comprese le zone peloritana-nebroidea e ampi territori dell’ennese”. Al vertice le famiglie di cosa nostra etnea dei Santapaola-Ercolano, dei Mazzei e dei La Rocca, “mentre residuale è l’autonoma operatività della famiglia di Ramacca”. Secondo la Dia, “la famiglia Santapaola Ercolano opera con i propri affiliati nel territorio urbano e agisce nella provincia etnea e in quelle limitrofe in collaborazione con i sodalizi locali”. Gli equilibri associativi delle formazioni catanesi, evidenzia la relazione, “restano tuttavia precari, così come gli accordi interclanici di natura spartitoria. Pur nel quadro di un prevalente interesse delle varie formazioni a mantenere una pax mafiosa funzionale alla realizzazione degli interessi criminali, non possono escludersi momenti di frizione e di possibile ulteriore scontro anche violento”. Particolare attenzione merita la presenza nel territorio catanese di gruppi criminali stranieri. Si tratta di sodalizi dediti in alcuni quartieri specifici, allo sfruttamento della prostituzione, del lavoro nero e del caporalato, al commercio di prodotti contraffatti e allo spaccio di droga. Particolarmente strutturati risultano i sodalizi nigeriani”.

Rapporto Dia. La Mafia a Siracusa

Recenti indagini hanno svelato, nel siracusano, “la rinnovata operatività” della famiglia Aparo, “grazie ad alcuni affiliati storici tornati in libertà e attivi sul territorio di riferimento nei settori delle estorsioni, dell’usura e degli stupefacenti”. E’ quanto emerge dalla relazione della Dia per il secondo semestre 2020 sulla provincia di Siracusa. Gli “ingenti proventi delle attività delittuose”, come ha sottolineato il questore di Siracusa Gabriella Ioppolo, “vengono reimpiegati nelle attività criminali del sodalizio e consentono agli affiliati di elargire prontamente a tasso usurario ingenti somme di denaro, nonché di acquistare importanti partite di droga”.

Rapporto Dia. La Mafia ad Agrigento

Una “capillare pressione mafiosa” che “condiziona lo sviluppo economico depauperando il tessuto sociale e produttivo” e un “pervasivo condizionamento sociale” evidenziato dalla “inclinazione verosimile dei cittadini a rivolgersi all’organizzazione mafiosa per la risoluzione di problematiche private”. E’ questa la fotografia della provincia di Agrigento scattata nella relazione della Dia per il secondo semestre 2020. Lo stesso capoluogo, Agrigento, si legge nella relazione, “versa in una situazione critica evidenziando carenze infrastrutturali e organizzative dovute alla ‘parassitizzazione’ dell’imprenditoria e del commercio da parte delle consorterie”. Una condizione evidenziata anche dal prefetto di Agrigento, Maria Rita Cocciufa, secondo cui “la povertà culturale, non disgiunta da quella economica, determina una situazione di arretratezza nella quale continuano a proliferare le regole dettate dalla criminalità organizzata”. Per quanto riguarda l’inclinazione dei cittadini a rivolgersi a Cosa nostra per la soluzione di questioni private, “emblematico” è il caso dell’arresto di tre persone (10 settembre 2020) per l’omicidio di un imprenditore reo di aver importunato alcune donne sposate tra cui la nuora. “Il mandante dell’assassinio sarebbe stato il figlio che per risolvere la questione si era rivolto a cosa nostra”. La provincia di Agrigento appare caratterizzata “dalla pervasiva presenza sia di Cosa nostra sia, in specifiche aree, della stidda. Su alcune porzioni del territorio provinciale opererebbero in ossequio alle tipiche logiche mafiose anche altri gruppi a base familiare quali i paracchi e le famigghiedde. Sodalizi questi ultimi che risultano ricercare forme di intesa o di cooperazione subalterna con le consorterie appartenenti a cosa nostra e alla stidda”. Cosa nostra agrigentina rimane “un’organizzazione verticistica e rispettosa delle tradizionali regole” con collegamenti con le famiglie catanesi, nissene, palermitane e trapanesi, “non disdegnando rapporti con realtà criminali oltre lo Stretto”. Sette i mandamenti (Belice, Burgio, Santa Elisabetta, Cianciana, Canicattì, Agrigento, Palma di Montechiaro) che la compongono all’interno dei quali operano 42 famiglie. “Un numero di articolazioni – evidenzia la Dia – particolarmente elevato in relazione alla limitata vastità del territorio e soprattutto considerando che anche la stidda continua a registrare un ruolo di rilievo in alcune porzioni della provincia”.

Rapporto Dia. La Mafia a Enna

“L’ennese costituisce territorio di espansione per le articolazioni di cosa nostra nissena, catanese e messinese”. E’ quanto emerge dalla relazione della Dia per il secondo semestre 2020 sulla provincia ennese e che trova conferma nelle parole del questore di Enna Corrado Basile secondo cui “il fenomeno mafioso in questa provincia si è manifestato in forme diverse rispetto ad altre zone vicine con più risalente ‘tradizione’ mafiosa, in quanto i gruppi sono spesso di costituzione spontanea, non sempre adeguatamente coordinati tra loro ed è forte l’influenza delle famiglie delle province limitrofe”. “Particolarmente significativa – sottolinea la Dia – l’ingerenza dei catanesi che approfittando della minore forza dei sodalizi ennesi, infiltrano la provincia anche stringendo rapporti di collaborazione con la criminalità locale”. Come sottolinea il procuratore distrettuale antimafia di Caltanissetta, Gabriele Paci, “le ripetute ondate di arresti che hanno letteralmente decimato le famiglie ennesi, hanno negli ultimi anni favorito la progressiva ‘espansione’ delle organizzazioni mafiose stanziate nella limitrofa provincia di Catania in ampie zone della zona nord-est del territorio”. Nella provincia ennese, Cosa nostra risulta articolata nelle cinque storiche famiglie di Villarosa, Calascibetta, Enna, Pietraperzia e Barrafranca. A queste, si legge nella relazione, “risultano collegati gruppi malavitosi che controllano i territori dei comuni di Piazza Armerina, Aidone, Agira, Valguarnera Caropepe, Leonforte e Centuripe, Regalbuto, Troina e Catenanuova”. Le mani di Cosa Nostra sui contributi europei per il sostegno allo sviluppo rurale. E’ uno dei particolari che emerge dalla relazione per il secondo semestre 2020 della Dia sulla provincia di Enna. “Sempre alta è l’attenzione nel contrasto all’indebita percezione dei contributi comunitari per il sostegno allo sviluppo rurale – si legge – Il fenomeno devia ingenti flussi finanziari che di fatto risultano sottratti al reale sostegno delle attività produttive ed allo sviluppo del comparto. Tutto ciò avviene sia a opera di soggetti non direttamente legati alle famiglie, sia mediante il diretto interesse delle consorterie mafiose”.  Esempio ne è l’operazione ‘New Park’ della Guardia di finanza che ha svelato “un sistema di truffe per l’assegnazione di pascoli di proprietà del Comune di Troina (Enna) in favore di soggetti ritenuti vicini ad ambienti mafiosi ennesi e messinesi, con la connivenza di alcuni direttori pro-tempore dell’Azienda speciale silvopastorale. Gli imprenditori agricoli indagati, avvalendosi del metodo mafioso e della forza d’intimidazione, hanno di fatto monopolizzato le procedure negoziali scoraggiando l’accesso di concorrenti e ottenendo l’assegnazione dei terreni mediante la presentazione di offerte minime previamente concordate. Le illecite aggiudicazioni hanno consentito la percezione indebita di contributi comunitari per un importo complessivo di circa 2,5 milioni di euro”.

Rapporto Dia. La Mafia a Trapani

Cosa nostra trapanese “ha maturato la consapevolezza dell’inopportunità di scatenare lotte cruente”. Si tratta di una mafia “silente e mercatistica”, che “parrebbe privilegiare un modus operandi collusivo-corruttivo, ricercando patti basati sulla reciproca convenienza e sulla forte capacità di infiltrare vari settori d’impresa, nonché attuando una gestione sempre più ‘manageriale’ degli interessi criminali”. Questa la fotografia scattata dalla Direzione investigativa antimafia in merito ai clan della provincia di Trapani e contenuta nella relazione semestrale consegnata al Parlamento. “Storico e peculiare” risulterebbe poi il legame mafia-massoneria-politica: “In seno alle logge massoniche occulte o deviate – scrive la Dia – potrebbe infatti annidarsi un vero e proprio ‘potere parallelo’ in grado di inquinare l’attività amministrativa e la gestione della cosa pubblica”. “Matteo Messina Denaro costituisce ancora la figura criminale più carismatica della mafia trapanese. Capo mandamento di Castelvetrano che, nonostante la latitanza, rimane il principale punto di riferimento per decidere le questioni di maggiore interesse dell’organizzazione, per dirimere le controversie e per nominare i vertici delle articolazioni mafiose”. La Direzione distrettuale antimafia sottolinea anche come “benché ‘u siccu’ (Messina Denaro) continui a beneficiare della fedeltà di molti sodali non mancano segnali d’insofferenza. Alcuni affiliati sarebbero infatti insoddisfatti di una gestione di comando troppo impegnata a curare la sempre più problematica latitanza del boss, anche in ragione della costante azione investigativa in larga parte volta a colpirne la rete di protezione”. Dalla relazione emerge anche come Cosa nostra sia caratterizzata “da un familismo particolarmente accentuato” e come le articolazioni mafiose “non presentano segnali di mutamento organizzativo, strutturale o di leadership”.

Rapporto Dia. La Mafia a Messina

Il territorio della provincia di Messina “costituisce il crocevia di varie matrici criminali. L’influenza di cosa nostra palermitana e catanese con le loro peculiari caratteristiche hanno infatti contribuito a creare una realtà eterogenea”. I gruppi mafiosi ‘barcellonesi’ e quelli dell’area ‘nebroidea’ hanno assunto “strutturazioni e metodi operativi assimilabili a quelli di cosa nostra palermitana”, mentre “le ingerenze delle consorterie catanesi appaiono significative nelle aree di confine tra le province e nel capoluogo”. “Sono stati inoltre riscontrati rapporti con le vicine cosche calabresi soprattutto per l’approvvigionamento di stupefacenti”. E’ quanto emerge dalla relazione della Dia per il secondo semestre 2020 sulla provincia di Messina.  In particolare, il rapporto costante con la criminalità calabrese emerso dalle risultanze investigative è, per il procuratore distrettuale di Messina Maurizio De Lucia, “aspetto su cui va posta la massima attenzione dal punto di vista della prospettazione futura, avendo ragione di ritenere che la ‘ndrangheta possa in futuro utilizzare lo stesso canale individuato per gli stupefacenti anche per altri traffici, in particolare quello del reinvestimento dei capitali”.

Redazione – Palermo Post

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