Alle prime ore di stamattina, a Villabate, i militari del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Palermo, hanno dato esecuzione a 4 provvedimenti di fermo di indiziato di delitto, disposti d’urgenza dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia, per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso ed estorsione nei confronti di quattro esponenti della famiglia di Villabate.
L’indagine, convenzionalmente denominata “LUCE”, è il risultato di un’articolata manovra investigativa coordinata dalla Procura Distrettuale di Palermo e condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo, che, dopo l’esecuzione dell’Operazione CUPOLA 2.0., ha documentato la manovra di riassetto posta in essere da elementi di vertice di “cosa nostra” tornati in libertà dopo aver scontato le pene a cui erano stati condannati definitivamente.
Il complesso delle investigazioni ha consentito di acquisire un quadro indiziario grave, idoneo ad evidenziare le condotte penalmente rilevanti in ordine alla ricostituzione formale della famiglia mafiosa di Villabate, caduta in disgrazia e “sciolta” per effetto della collaborazione con la Giustizia di Francesco Colletti, che ne era divenuto il capo grazie alla manovra di ricostituzione della Commissione Provinciale documentata dall’inchiesta Cupola 2.0.
All’indomani della ricostituzione formale della famiglia di Villabate e della sua riaffermazione forte sul territorio, venivano altresì acquisiti gravi indizi di colpevolezza in ordine a plurimi episodi estorsivi, diretti in danno di importanti realtà imprenditoriali locali, posti in essere al fine di soddisfare le esigenze di sostentamento degli affiliati, soprattutto di quelli reclusi.
L’indagine, pertanto, ha documentato una strategia di riconquista del consenso della popolazione attraverso una “pacificazione” con gli operatori imprenditoriali e commerciali economicamente più fragili; la limitazione della criminalità predatoria indiscriminata; il controllo dello smercio al dettaglio di stupefacenti nel comune di Villabate.
L’operazione di oggi, che ha subìto un’accelerazione conseguente al pericolo di fuga di un indagato, restituisce un quadro in linea con altre recenti misure cautelari eseguite nel capoluogo, ovvero quello di una “cosa nostra” affatto rassegnata a soccombere ma impegnata, attraverso il continuo richiamo alle proprie regole fondanti, a riorganizzare le proprie fila per proporsi sul territorio con maggiore credibilità e autorevolezza.
Salvatore Lauricella, figlio del boss dell Kalsa Antonio, detto Scintillone, fermato, insieme ad altri tre uomini d’onore dalla Procura di Palermo, mettendo insieme una grossa somma in contanti, si preparava a far perdere le proprie tracce prima che la Cassazione rendesse definitiva la sua condanna per mafia. Intenzione provata, tra l’altro, da una conversazione intercettata tra due mafiosi che parlando di Lauricella dicevano: “Il 25 aprile gli vengono le crisi…questo latitante ora si butta”, diceva uno dei due. Il boss, lasciato il carcere dopo l’arresto, da Palermo si era trasferito a Villabate, circostanza che allarmava gli affiliati locali che temevano le ingerenze negli affari di un capo di peso come lui. “A Palermo puoi fare quello che vuoi, io ti voglio bene ma puoi andare a c..a largo”, diceva un uomo d’onore intercettato riferendo una sua conversazione con Lauricella che era stato avvertito di rispettare gli equilibri locali.