Nel tratto di mare tra Punta Raisi e Capo Gallo emerge dal mare un fazzoletto di terra rettangolare, un piccolo promontorio sovrastato da una torre in pietra ormai diroccata: l’Isola delle Femmine. Fin dall’antichità il suo fascino ha influenzato l’immaginario collettivo, tanto da dare vita a diverse storie e leggende sulla sua origine.
Isola e Isola di fuori
Isola delle Femmine è sia il nome del piccolo comune sulla costa settentrionale della Sicilia (oggi parte della città metropolitana di Palermo) sia dell’isolotto posto ad una distanza di circa 800m dalla stessa costa (detto Isola di fuori). Nato come porto adibito alla pesca del tonno, l’attuale comune costiero fu motivo di contesa fra il conte di Capaci e l’arcivescovo di Monreale intorno 1830, proprio per la sua notevole produzione ittica. Solo nel 1859 la borgata, chiamata Tonnara, si staccò da Capaci e divenne comune autonomo, ribattezzandosi Isola delle Femmine, in onore del magico promontorio antistante. Ed è proprio l’isola, avvolta da sempre in un alone di mistero, che cattura la nostra curiosità. I resti che caratterizzano il suo profilo sono di una delle tante Torri Costiere della Sicilia, costruite dopo la caduta dell’Impero Romano d’Oriente (1452) come sistema difensivo e di avvistamento degli invasori e dei pirati. È detta Torre di Fuori, contrapposta a quella sulla terraferma (Torre di dentro).
Storia antica e storia moderna
Ma le prove che l’isola fosse un luogo strategico anche in epoche precedenti, sia dal punto di vista economico che commerciale, ci vengono da alcuni ritrovamenti: qui sono stati trovati resti di sette vasche in cocciopesto, tipiche del periodo ellenistico, utilizzate per la preparazione del garum, una ricercata salsa di pesce commerciata nel Mediterraneo. Anche il mare che circonda l’isola ci ha consegnato resti di anfore puniche e romane, accrescendo il valore storico del sito. Ma l’Isola delle Femmine è protagonista anche di alcuni eventi molto vicini a noi, fatti che gli anziani locali ancora oggi raccontano. Prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale la torre era ancora intatta. Sull’isola si portavano pecore a pascolare e la domenica si andava col grammofono a “fare festa” sulla terrazza della torre. La guerra cambiò tutto. Alla fine del 1943, con lo sbarco degli americani, la torre fu utilizzata dai militari come bersaglio per le esercitazioni dei militari, e fu cannoneggiata e mitragliata fino a diventare un rudere. Oggi l’Isola delle Femmine è una riserva naturalistica a tutela del patrimonio floristico e faunistico locale.
Le leggende sull’origine del nome
Tante, anzi tantissime sono le leggende che ruotano intorno all’isola e alla sua torre. Si racconta che in tempi antichissimi fosse un carcere femminile. O anche che fosse la residenza di fanciulle bellissime che si concedevano, per la durata di una luna (un mese), ai giovani guerrieri che si erano distinti in battaglia. E ancora si narra di tredici fanciulle turche che macchiatesi di colpe gravi, furono imbarcate su una nave e mandate alla deriva. Dopo giorni in balia dei venti e delle tempeste, le giovani approdarono sull’isola, dove vissero per sette anni prima di riconciliarsi con i parenti pentiti, fondare la città di Capaci (da Cca-paci, qui pace), e dare il nome di “Isola delle femmine” alla terra che le ospitò. Ma la storia più suggestiva è forse quella di Lucia, una giovane donna che per aver rifiutato le offerte amorose di un ricco e prepotente signore, fu rapita e rinchiusa nella torre. La ragazza, piuttosto che arrendersi, preferì lasciarsi morire di fame e di dolore. Ancora oggi nei giorni di tempesta, si ode il suo lamento aleggiare sul mare. Storie e leggende che si fondono e si confondono tra loro.
Il mistero della Zia Ju
Legato ad un fatto realmente accaduto, c’è il mistero della valigetta e di un aereo tedesco affondato a largo dell’Isola delle Femmine. È l’estate del 1942. Il silenzio di un caldo pomeriggio viene rotto dai motori ronzanti di una squadriglia di Junkers-52 (aerei da trasporto tedeschi) provenienti dal mare. Uno di essi sembra arrancare, perde quota, e virando verso l’isolotto, punta senza controllo verso il mare, affondando subito dopo. I pescatori del vicino borgo di Sferracavallo salpano con le loro barche a remi in aiuto dei naufraghi e riportano a terra due soldati tedeschi. Spaesati e incapaci di comunicare, i militari tirano fuori dai loro giubbotti mazzette di banconote che cercano di asciugare al sole, mentre proteggono una misteriosa valigetta portadocumenti. Il tempo di una sigaretta offerta dai pescatori del luogo e i militari vengono prelevati da una camionetta di soldati italiani (nel 1942 Italia e Germania erano ancora alleate). Da dove provenisse lo stormo di Junkers-52, in quale missione fosse impegnato e cosa contenesse quella valigetta resta ancora oggi un mistero. Oggi la Zia Ju, (come viene familiarmente chiamato il relitto dell’aereo), è adagiata sul dorso ad una profondità di circa 48 metri. È diventata una vera oasi di biodiversità marina, avvolgendo anche i fondali dell’Isola delle Femmine nel mistero più profondo.
Elena Di Maio – Palermo Post