È avvolto nel mistero e forse anche per questo non smette di affascinare i visitatori che si fanno sempre più numerosi. Oltre alla sua bellezza architettonica, infatti, il castello di Carini è noto per il suo intreccio seducente di storia e leggenda che ha come protagonista proprio colei a cui deve il nome con il quale è conosciuto ai più, ovvero la baronessa di Carini.
Il castello di Carini è stato inizialmente costruito come roccaforte di avvistamento. Si trova sulla cima di una collina dell’omonimo paese e si vede perfettamente dal mare, anche da Isola delle Femmine, persino da Ustica.
Fu costruito per volere di Rodolfo Bonello, guerriero al seguito del conte Ruggero I di Sicilia. Nel 1283 passò alla famiglia Abate che da difensiva fece diventare la struttura residenziale. La famiglia rimase al potere fino al regno di Martino I, nuovo re di Sicilia, che, nel 1397, affidò la terra di Carini a Ubertino La Grua. Ubertino non ebbe figli maschi e nel 1402 fece sposare la sua unica figlia, Ilaria, con il catalano Gilberto Talamanca. Così nacque la casata La Grua-Talamanca, da cui il castello prende il nome.
Il matrimonio più famoso però, che segnò irrimediabilmente e in modo tragico l’imponente fortezza medievale, avvenne qualche anno più tardi quando Vincenzo, un giovane discendente del casato, sposò Laura Lanza, la figlia quattordicenne di Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli.
Nonostante gli otto figli, l’unione di don Vincenzo La Grua-Talamanca e Laura Lanza di Trabia, baronessa di Carini, non era felice e si diffuse la voce che Laura avesse un amante, Ludovico Vernagallo. La relazione adultera fu scoperta dal padre Cesare Lanza che ordinò l’uccisione di Laura e del presunto amante. Il duplice omicidio, avvenuto il 4 dicembre del 1563, fu subito insabbiato. La leggenda narra che ogni anno, in occasione dell’anniversario del delitto, comparirebbe l’impronta della mano insanguinata della baronessa di Carini su un muro della stanza in cui venne uccisa. Il delitto colpì la memoria popolare, fu raccontato di generazione in generazione, fu tramandato dai cantastorie, ispirò sceneggiati e miniserie televisive.
Oltre all’affascinante leggenda, a spingere nel visitare il castello c’è la sua architettura. Le sue mura medievali risalgono all’XI e XII secolo. La seconda porta della fortezza presenta elementi arabo-normanni, in alto vi è l’arma della famiglia Abate. I portali sono sormontati da scudi che raffigurano una gru, simbolo della casata La Grua, altri invece rappresentano tre zolle di terra, probabilmente simbolo dei Chiaramonte. Nel portale del piano superiore si trova lo stemma dei Lanza-La Grua che rappresenta due leoni rampanti. Nel lato est del castello, c’è una cappella affrescata a trompe-l’œil, un lavatoio in pietra di Billiemi e una statua in marmo raffigurante la Madonna di Trapani. Al piano superiore del castello, all’ingresso di quella che era l’ala quattrocentesca, c’è un portale marmoreo sul quale, tra due fenici rinascenti dalle fiamme, si legge Et nova sint omnia (“e tutto sia rinnovato”), mentre su un altro portale marmoreo si trova scritto Recedant Vetera (“sia cancellato il passato”).
Una parte molto apprezzata del castello è il salone delle feste del piano nobiliare, con il suo soffitto ligneo a cassettoni, il camino su cui è posto lo stemma dei La Grua e ampie finestre. Il soffitto conserva una parte originale dove è visibile una scritta in latino: In Medio Consistit Virtus, “la virtù sta nel mezzo“. Dalla porta laterale sinistra della sala si entra nella stanza in cui si narra che la baronessa di Carini incontrasse Ludovico Vernagallo. Di notevole interesse sono anche le stanze affrescate, come quella in cui si trova la pittura murale che ritrae Ulisse e Penelope.