L’Odissea è uno dei racconti più incredibili e significativi che siano mai stati scritti, fondativo della cultura occidentale. Ma per quanto sia una storia mitica, il poema contiene elementi che ci riconducono a luoghi reali. Proviamo ad imbarcarci e a ripercorrere il viaggio attraverso alcuni dei Porti di Ulisse.
I porti di Ulisse. Il viaggio
Siamo a Troia, un’antica città che gli accademici di tutto il mondo localizzano nello stretto di Dardanelli, nella Turchia occidentale. Dopo una guerra durata dieci anni Ulisse, re di Itaca, intraprende con i suoi soldati il viaggio di ritorno a casa.
Dov’è Itaca? Lo storiografo greco Strabone, 1 d.C., la individua nell’isolotto a nord della moderna Cefalonia. Nei secoli successivi si sono susseguite altre teorie che, pur indicando isole diverse, localizzavano l’Itaca di Omero nell’arcipelago greco occidentale.
Ulisse è un uomo provvisto di grande genio. E’ lui a decidere le sorti di Troia con il suo brillante piano del cavallo. Ma il genio si alimenta con la curiosità ed è proprio il desiderio di scoprire a spingere l’eroe oltre i limiti suscitando l’ira degli dei. Quello che ne deriva è un viaggio lungo e tormentato che durerà per altri dieci anni.
Sulla base degli elementi forniti da Omero gli studiosi hanno più o meno ricostruito un viaggio che partendo dalla Turchia taglia il Mediterraneo fino oltre le coste settentrionali dell’Africa. Da qui, ripiegando verso la Sardegna, scende lungo le coste italiane, attraversa lo stretto di Messina e si immette di nuovo nel Mediterraneo, alla volta della Grecia.
L’isola di Polifemo
Grazie ad un altro dei suoi colpi di genio Ulisse, intrappolato dal ciclope, riesce ad accecarlo e così a fuggire. Tuttavia la vanità fa di lui un eroe terribilmente umano al punto da non riuscire a trattenersi dal rivelare il suo nome. Udito il nome Poseidone, padre di Polifemo, scatena la sua ira condannandolo a perdersi per i mari.
La collocazione della grotta di Polifemo verte, secondo gran parte degli studiosi, in Sicilia. Ma è sulla località precisa che si susseguono le teorie. Una delle più accreditate localizza il paese dei ciclopi con l’area dell’Etna e precisamente con Aci Trezza. A suffragio di questa teoria ci sono due elementi.
- La terra dei ciclopi è descritta molto fertile (come può esserla solo una terra vulcanica) e di facile approdo.
- Al largo di Aci Trezza ci sono degli isolotti rocciosi chiamati, appunto, Isole dei Ciclopi.
È curioso che alcuni vedano in Polifemo addirittura la personificazione del vulcano, infatti come il vulcano in eruzione il ciclope getta massi contro i naviganti.
Tra gli altri porti di Ulisse invece spunta quella di Milazzo dove, lungo la costa, si susseguono antri e grotte affacciate sul mare. Una di queste, usata nel Seicento come magazzino di armamenti, è stata battezzata dalla fantasia popolare proprio col nome di Grotta di Polifemo. Non sarebbe casuale se pensiamo che nella tradizione antica il ciclope è legato alla custodia degli armamento del dio Sole.
La Maga Circe
Dopo gli incontri col benevolo Eolo e i bestiali Lestrigoni, l’imbarcazione di Ulisse è spinta al largo senza una rotta. Giungono così nella terra di Eea dove dimora Circe.
La storia è nota. Alcuni uomini si avventurano in perlustrazione fino ad imbattersi con la maga, la quale li trasforma in maiali. Ulisse, non vedendoli arrivare, va alla loro ricerca fino a quando il dio Ermes non giunge in suo aiuto fornendogli un antidoto alle magie di Circe.
La collocazione più accreditata è quella a sud di Roma, precisamente sotto Latina, in quel promontorio che prende il nome proprio dalla leggenda: Circeo.
Le coste campane
E’ Circe ad indicare ad Ulisse la direzione. Il suo viaggio deve ora passare dall’inferno e dall’indovino Tiresia che proprio tra i morti dimora. E’ una delle parti più inquietanti e drammatiche dell’intero poema (è infatti qui che incontra sua madre, la quale gli rivela di essersi tolta la vita).
A tal proposito una fonte autorevole ma successiva a Omero è l’Eneide di Virgilio. Qui la porta degli inferi viene indicata nel lago D’Averno, a nord di Napoli. Lo stesso nome, Avernus, mutuato dal greco, significa senza uccelli, quindi inospitale alla vita.
Le condizioni del lago dovevano essere ben diverse da quelle di oggi, con esalazioni di gas che lo rendevano di fatto un luogo inavvicinabile. Tuttavia in alcuni periodi dell’anno ancora oggi il lago si tinge di rosso grazie al fiorire di un’alga, assumendo così un aspetto sinistro.
Va detto che il napoletano è una zona ad alta densità magmatica. Di conseguenza in un’epoca remota non dovevano essere poche le solfatare che, come quelle che oggi vediamo a Pozzuoli, suggestionavano i viandanti.
Tra i porti di Ulisse un cuore infranto
Un’altra minaccia da cui Ulisse viene messo in guardia da Circe è il canto delle sirene. Secondo la leggenda quello delle sirene è un canto seducente e ammaliante. Non di rado i marinai, nel tentativo di afferrarla, la seguono a nuoto fino ad annegare.
Come è già accaduto più volte la sua curiosità spinge Ulisse a correre rischi. Qui non riesce a resistere all’impulso di ascoltare il canto delle sirene. Ordina ai suoi uomini di tapparsi le orecchie con della cera, allo stesso tempo però ordina loro di legarlo all’albero della nave e di non slegarlo per tutto il tratto.
Nell’Eneide Virgilio colloca le sirene in un gruppo di scogli a sud della penisola sorrentina. Staccandoci per un momento dal viaggio dell’eroe è inevitabile concedere un po’ attenzione al destino delle sirene.
Frustrate dal non essere riuscite a trattenere Ulisse si lasciano morire (secondo Apollonio Rodio si gettarono da una scogliera). Una di queste, dal nome Partenope, si lascia trasportare dalle onde approdando nell’isolotto dove oggi sorge il Castel dell’ovo. La sua morte e la sua tumulazione da parte dei primi abitanti rappresenta, nella leggenda, la fondazione della città di Napoli.
Gli altri porti di Ulisse in Sicilia, ovvero la Trinacria
Cariddi, il mostro che con l’apertura della sua gigantesca bocca provoca vortici nell’acqua, è un chiaro riferimento alle correnti presenti nello stretto. La città di Scilla, invece, sulla costa calabra, con la sua collocazione sulla roccia rievoca la posizione alta del mostro da cui attaccava le imbarcazioni.
Sopravvissuto alla furia di Scilla, Ulisse perde i suoi ultimi uomini nella cosiddetta Isola del Sole. Qui infatti i soldati, affamati, mangiano le mucche sacre subendo così la vendetta del dio Sole. Nel poema l’isola è chiamata anche Trinacria, nome e simbolo col quale dal periodo romano venne identificata la Sicilia.
Quello che Omero ci racconta è un viaggio lungo e difficile, in cui però, al di là dei porti di Ulisse, ciò che emerge è il rapporto dell’uomo con l’ignoto. Il destino, inteso come volontà superiore agli stessi dei, è di fatto ciò che guida il viaggio dell’eroe.
Il viaggio continua al largo del Mediterraneo, nell’isola di Calipso, poi presso i Feaci (Corfù), dove l’eroe racconta la sua storia. Alla fine ecco il ritorno dopo vent’anni ad Itaca, dove però lo aspetta un’altra sfida. I proci hanno occupato il suo regno…
La magia dei porti di Ulisse
Ogni posto, ogni personaggio e ogni avventura narrata è legata ad una tradizione, ad un antico sistema di valori nonché ad una simbologia. L’intero poema è un mosaico che illumina su ogni sfera della vita ma anche su quella che poteva essere la geografia dell’epoca.
Proprio per la sua natura ricca e complessa viene facile pensare che sia opera di tanti narratori che, nel tempo, abbiano arricchito il racconto originario con le esperienze di tutti quei naviganti che dalla Grecia si spingevano verso occidente. Le suggestioni, nonché le indicazioni fornite all’epoca dai marinai, possono essere un valido motivo per cui oggi ci riesce identificare i porti di Ulisse.
D’altro canto però non sapremo mai la verità e forse, in fondo, non ci interessa. Ci sono tante teorie e in futuro ne leggeremo altre. Quello che più ci interessa è la magia che ci portiamo nella nostra personale Itaca, una magia con la quale possiamo scoprire o riscoprire i luoghi.
Gianpaolo Roselli
Articolo magicamente interessante!