La retrocessione del Sassuolo in Serie B è stata un semplice incidente di percorso, una parentesi inaspettata per una squadra che ha dimostrato, anche oggi, di avere tutte le carte in regola per dominare il campionato cadetto. La vittoria di oggi contro il Palermo, eterno incompiuto, ne è l’ennesima conferma. La terza sconfitta consecutiva fa precipitare il Palermo nella parte destra della classifica, mettendo in evidenza le difficoltà di una squadra che, ancora una volta, fatica a reagire nei momenti cruciali e a trovare una continuità di rendimento. Il Sassuolo, con più del doppio dei punti in classifica, incarna quel livello di costanza e qualità che il Palermo, al momento, non riesce e non può raggiungere, un abisso che sembra incolmabile.
Nonostante le evidenti difficoltà della sua squadra, l’allenatore del Palermo, Dionisi, si mostra sereno e con un filo di amaro sarcasmo, dichiara di “sorridere” di fronte alle critiche dei tifosi esasperati. “Sono una persona equilibrata”, afferma. “Sentire i cori contro di me non fa piacere, sia in casa che in trasferta. Non credo di meritarmeli, considerando l’impegno e la dedizione che metto nel mio lavoro, ma comprendo che i risultati negativi alimentino il malcontento. Nel calcio, l’allenatore è sempre il primo a essere ritenuto responsabile, il capro espiatorio per eccellenza. Se la società dovesse decidere di sollevarmi dall’incarico, accetterò la decisione con serenità. Non ho mai visto un allenatore difendere o segnare un gol, ma sono io il responsabile e ci metto la faccia, sempre. È più semplice cambiare l’allenatore che intervenire su altri aspetti, lo so bene. Ci sorrido sopra, ma ammetto che un po’ mi dispiace. Se un giorno la mia esperienza a Palermo dovesse finire, ne parlerò comunque bene, perché ho dato tutto me stesso”.
E in fondo, le parole di Dionisi riflettono una triste realtà: cambiare allenatore è servito a ben poco nel corso degli ultimi anni, così come cambiare numerosi calciatori non ha prodotto i risultati sperati. La radice del problema sembra essere più profonda e complessa. Forse, come suggerito da alcuni, sarebbe opportuno archiviare l’eccessivo “Guardiolismo” tattico, uno stile di gioco che sembra ormai in crisi anche oltremanica, e che ha caratterizzato le ultime gestioni tecniche del Palermo. Probabilmente, un approccio più pragmatico e meno schematico, un calcio più concreto e adattato alle caratteristiche e al talento dei calciatori in rosa, potrebbe essere la chiave per invertire la rotta. Un calcio meno prevedibile e più imprevedibile, capace di esaltare le individualità senza sacrificarle sull’altare di uno schema rigido. Ma la vera svolta, quella che potrebbe finalmente risollevare le sorti del Palermo, sembra ancora lontana, un miraggio che rischia di rimanere tale per chissà quanto tempo ancora.
Due anni e mezzo di delusioni e fallimenti, sportivamente parlando, potrebbero essere sufficienti per indurre un cambiamento più radicale, non limitato alla sola guida tecnica. Chissà, forse in futuro assisteremo a una mini rivoluzione, con l’arrivo di un nuovo Direttore Sportivo, ma servirebbe a poco se anch’esso fosse asservito, come spesso accade, ai soliti procuratori influenti. Perché in fondo questo è uno degli aspetti più odiosi del calcio moderno tanto a Palermo quanto a Milano. Il punto è che finché il Palermo rimarrà uno dei tanti satelliti del Manchester City, gestito da un management che appare mediocre, chiuso in sé stesso e distante dal cuore pulsante della città, la musica non cambierà. Questo distacco tra la proprietà e l’anima di Palermo è forse il vero male che affligge la squadra. Potranno esserci annate migliori di altre, exploit sporadici, ma mancherà sempre quell’ambizione genuina, quel sogno condiviso con un’intera città, che è il motore di ogni grande successo sportivo. E senza quella profonda connessione con la città e la sua gente, mancherà anche la cura necessaria, l’attenzione ai dettagli, il rispetto per una storia gloriosa che non può essere ridotta a un semplice strumento di marketing. Una storia che appartiene a chi la vive e la ama, non a chi la sfrutta per fini economici.
Non siamo di fronte al fallimento totale del progetto City Football Group in salsa rosanero, un progetto che ha tradito le speranze e le aspettative di un’intera tifoseria, ma dell’idea stessa di Holding Calcistica, che sta fallendo in tutto il mondo, a cominciare da Manchester (non per le sconfitte, ma per i tribunali) e noi siamo solo spettatori incolpevoli e passivi. Il Palermo Calcio ha bisogno di tornare nelle ami di chi ne rispetta la storia e ne ami la gente. Palermitano o Neozelandese non importa, serve chi saprà valorizzarne la storia e l’identità non solo calcistica di una grande e millenaria Città.