Un errore di comunicazione da parte di una delle società, che ha fondato sulla comunicazione la narrazione di una squadra di calcio legata alle proprie radici e al territorio, diventa lo spunto per aprire una riflessione. Più volte abbiamo criticato la curva, in particolar modo gli ultrà, per sporadici episodi di violenza, ma soprattutto per le loro divisioni che rendono persino difficile il trasporto emotivo dell’intero stadio. Banalmente, si segue quello che arriva da sotto o da sopra?
Rimane indubbio, tuttavia, che le curve sono l’ultimo baluardo che separa questo sport dal trasformarsi definitivamente nella riproduzione elettronica di se stesso. L’anima stessa dell’epica novecentesca di un gioco che ha unito generazioni, separato fratelli, incantato bambini ed esaltato anziani. La trasferta lungo lo stivale è uno di quei retaggi. Viaggi che si raccontano di generazione in generazione, perché restano scolpiti per sempre nella memoria. Per me sono stati Andria e Battipaglia, San Benedetto del Tronto e Giarre, l’entrata trionfale con le banane al Massimino di Catania e il muro rosa dell’Olimpico.
Un rito che si prepara in una settimana, organizzando un viaggio collettivo nel quale non ci sono differenze sociali o di censo, si parte tutti insieme, si viaggia scomodi, talvolta si entra allo stadio 30-40 minuti dopo il fischio d’inizio e poi si comincia a cantare, con l’antipatia di un’intero stadio che ti fischia. È epica, è uno degli ultimi legami vivi con il novecento, una tradizione che continua a vivere oltre il calcio dei diritti Tv e dei mondiali in Qatar.
Per questa ragione quell’errore di comunicazione, da parte di abili professionisti con decenni di esperienza, stona parecchio, fa male e non può essere giustificato in alcun modo. È un fatto di attenzione verso chi ti dona amore senza nulla a pretendere e questa volta le scuse postume e le t-shirt commemorative non bastano. “Il Palermo FC, con il presidente Mirri e tutta la famiglia rosanero porgono i più sentiti ringraziamenti a tutti quanti si sono adoperati per fronteggiare gli impedimenti straordinari che non hanno consentito alla squadra di raggiungere Ascoli” recita il comunicato che si conclude ringraziando tutti dalla questura, alla Lega B, passando per la tv, gli arbitri e l’Ascoli “un evidente esempio di come lo spirito di squadra nel calcio viva anche fuori dal campo di gioco”.
Quel gioco di squadra, dal quale si escludono i tifosi ed in particolar modo quelli della curva, quelli che fanno migliaia a di chilometri anziché stare sul divano di casa, perché la squadra deve sentire l’amore della sua gente. Una disattenzione che lascia intendere che ormai, il calcio moderno in generale, di certo non solo chi governa il Palermo, che serve solo da spunto di riflessione, è pronto a scrollarsi di dosso anche l’ultimo baluardo del gioco che fu, muovendosi a tutta velocità verso un calcio che chiamerei virtuale.
La curva è stato uno dei luoghi della mia giovinezza, uno spazio sociale pieno di contrasti dove a volte è scomodo stare, l’ultimo luogo nel quale le differenze di tutti i giorni spariscono e siamo tutti giovani, tutti ricchi, tutti poveri e siamo tutti lì perché convinti di potere spingere con il canto la palla in rete, un vero e proprio atto di fede che nel momento del gol esplode in gioia genuina e priva di controllo e il bambino abbraccia il vecchio che gli sta accanto, il viso della donna si deforma urlando al cielo e salti perché vorresti toccare le nuvole, sia se indossi la cravatta 6 giorni su 7, sia se porti la tuta da lavoro, sei comunque in preda ad un delirio collettivo e ami tutti quelli che ti circondano.
Per questo grazie voglio dirlo io, conta poco o nulla, ma grazie ragazzi della 12, della CNI, della Sud, di Roma Rosanero e Rosanero Girls (e scusate se dimentico qualche gruppo ultras, quelli della mia gioventù avevano nomi diversi) perché in questo calcio 4.0 siete l’ultima radice con un secolo di gloria, ciò che ancora emoziona e trascina, quello che rende ancora magico andare a vedere una partita allo stadio.
Bellissime queste riflessioni. La vera fotografia di ciò che è era e di ciò che è diventato oggi il calcio. Io oggi, con i miei 80anni non oosso certo seguire la squadra ma un tempo, anni 50 e 60, vedere da vicino un giocatore, il tuo giocatore, con la sua maglietta rosanero dai bordi del campo ti dava un’emozione mille volte maggiore che in TV. Tutto finito!