Poco dopo il triplice fischio di Palermo Ascoli il cuore di Salvatore Nocilla, conosciuto da tutti come Totò Rambo, ha smesso di battere. Aveva 57 anni lo storico capo Ultrà del Palermo, che non è riuscito a vincere la sua battaglia più importante, contro la forma di setticemia che lo ha ucciso. Era ricoverato da giorni in terapia intensiva presso l’ospedale civico del capoluogo siciliano.
Nocilla era uno dei capi del gruppo Ultrà più consistente negli anni ‘80 e ‘90 i Warriors, nome scelto da uno dei film iconici di quegli anni “I guerrieri della notte”, come pure il soprannome di Nocilla, diventato per tutti Rambo l’icona del guerriero anni ‘80-90 interpretata da Silvester Stallone.
Guardata a 30 anni di distanza, quella di Totò Rambo, è una figura romantica appartenente ad un mondo in cui per vedere il calcio si doveva entrare in uno stadio o attraversare mezza Italia su treni fatiscenti tra mille peripezie, altrimenti bisognava accontentarsi di ascoltarlo alla radio. Anni in cui tifare Palermo significava sposarsi con i colori di una squadra modesta che gravitava tra la serie C e la serie B, senza troppa gloria, ma con tanta passione.
Pensare adesso quella curva, unita dall’amore per i nostri colori, sembra quasi impossibile, viste le moderne divisioni, ricordo gli striscioni dei Warriors, delle Brigate, della Vecchia Guardia, degli Angeli della Nord, tutti diversi, ma insieme uniti e ricordo Totò Rambo, sulla balaustra ad esigere che non si smettesse un solo minuto di incitare la squadra.
Con Totò Rambo se ne va via quel pezzo di storia ultrà, che nel bene e nel male è stata un pezzo dell’intera epopea rosanero. Sui social il ricordo degli amici di sempre, i messaggi da tutto il mondo ultras, dagli amici di Padova e Lecce, ma anche dai rivali per antonomasia. Se si scorrono le pagine dei gruppi ultras non stupisce che il primo post degli Ultras Ghetto Catania quelli del 1991 è proprio per Totò, perché in fondo al di là della rivalità e del campanile c’è sempre stato un reciproco riconoscimento. A Totò, che da ragazzino guardavo come un simbolo a cui non osare rivolgere la parola, dico buon viaggio.