Mario Di Ferro, ristoratore palermitano da oggi ai domiciliari per cessione di droga, fu sorpreso ad aprile a vendere cocaina all’ex funzionario dell’Ars Giancarlo Migliorisi, all’epoca nella segreteria tecnica del presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana Gaetano Galvagno.
Interrogato dalla polizia Migliorisi, sospeso dopo che la vicenda divenne pubblica, spiegò di aver telefonato al ristoratore chiedendogli di riservargli un tavolo per tre persone per il pranzo.
“Ho fatto riferimento al fatto che avrei voluto realmente pranzare con tre presone presso il suo ristorante. Il riferimento alla tre persone è stato poi incidentalmente utilizzato come riferimento al numero di dosi che intendevo acquistare”, disse alla polizia.
E ammise di aver comprato cocaina da Di Ferro in passato ma sostenne di non sapere da chi questi si rifornisse. Seguendo le mosse del ristoratore, però, gli investigatori erano già riusciti a risalire ai fornitori: Gioacchino e Salvatore Salamone, oggi finiti in cella. Entrambi erano già conosciuti dalle forze dell’ordine. Nel 2018, erano stati, infatti, coinvolti in una indagine sul riciclaggio del denaro che i clan mafiosi di Resuttana e di Porta Nuova ricavavano dai traffici di droga.
Le riprese dei sistemi di videosorveglianza, depositate agli atti dell’inchiesta odierna, hanno immortalato più volte Di Ferro mentre consegnava il denaro ai due fornitori dopo aver preso lo stupefacente.
Il procedimento nasce da un’intercettazione disposta nell’ambito di un’altra indagine. Da qui la necessità degli investigatori di avviare gli approfondimenti che hanno poi rivelato che il ristoratore era protagonista di una intensa attività di vendita di cocaina a una selezionata clientela, attività che svolgeva nel suo locale divenuto un luogo di spaccio.
Si è arrivati così ad accertare diversi episodi di cessione di droga che l’indagato avrebbe realizzato con l’apporto di altre persone come Gioacchino e Salvatore Salamone, già condannati per spaccio in un processo sui traffici dei clan mafiosi palermitani. Di Ferro si sarebbe rivolto a loro per rifornirsi dello stupefacente e avrebbe anche usato tre suoi dipendenti come pusher. Sia i Salamone che i dipendenti sono indagati.
A Di Ferro sono stati dati i domiciliari, ai Salamone la custodia cautelare in carcere, ai tre dipendenti di Villa Zito è stato imposto l’obbligo di firma.