In seguito alla scarcerazione per decorrenza dei termini, un 56enne palermitano legato alla criminalità mafiosa è stato sottoposto a nuove misure restrittive dai Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo. L’uomo, noto alle forze dell’ordine per i suoi legami con un’organizzazione mafiosa locale, è stato arrestato nel 2018 e, lo scorso marzo, condannato a 15 anni e 2 mesi di carcere dalla Corte d’Appello di Palermo. Da allora si trovava in regime di carcere duro, previsto dall’articolo 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, in attesa dell’esito del ricorso presentato in Cassazione.
Tuttavia, dopo sei anni dal primo arresto e in attesa della sentenza definitiva, il detenuto è stato scarcerato negli ultimi giorni, su richiesta dei suoi legali, a causa della decorrenza dei termini della custodia cautelare. La scarcerazione è avvenuta nonostante la condanna di secondo grado fosse già stata emessa, lasciando aperti interrogativi sul sistema delle tempistiche processuali e sui limiti della custodia cautelare.
In risposta alla scarcerazione, la Corte d’Appello di Palermo, su istanza della Procura Generale, ha disposto una nuova misura cautelare per limitare la libertà del condannato. Tra le restrizioni imposte, emerge il divieto di dimora in tutta la regione Sicilia, obbligandolo così ad allontanarsi dal contesto territoriale in cui aveva operato. Inoltre, il 56enne sarà tenuto a rispettare un coprifuoco notturno, durante il quale dovrà rimanere presso l’abitazione scelta per la sua nuova dimora fuori dall’isola. È stato altresì stabilito l’obbligo di presentarsi regolarmente alla Polizia Giudiziaria del luogo in cui risiederà.
Queste misure, pur limitando la libertà dell’uomo, non soddisfano appieno i familiari delle vittime della mafia e la società civile, che temono il rischio che una figura condannata per associazione mafiosa possa continuare a esercitare influenze anche fuori dalla Sicilia. La vicenda riaccende il dibattito sull’efficacia del sistema giudiziario nel contrasto alla criminalità organizzata e sull’urgenza di riforme che possano garantire tempi processuali più celeri, soprattutto in casi così delicati.