“Scoppia la terza guerra mondiale, là sopra volano tutti dalle finestre”. Queste parole, intercettate nel corso dell’inchiesta “Octopus” dei carabinieri, racchiudono il clima di intimidazione con cui Andrea Catalano, uno degli imputati chiave del processo, descriveva il Capodanno del 2017 a Città del Mare, a Terrasini. Non un evento festoso, ma un’occasione per esercitare il controllo mafioso sulla sicurezza privata: Catalano intendeva imporre i suoi buttafuori, in una strategia estorsiva che si estendeva ben oltre la costa palermitana.
L’episodio di Terrasini è solo uno dei tasselli di un mosaico ben più ampio che, secondo la Procura, ha visto Cosa nostra infiltrarsi sistematicamente nel settore della vigilanza nei locali e nelle discoteche di Palermo e provincia tra il 2014 e il 2019. A testimoniare l’entità del fenomeno, la sentenza della quarta sezione della Corte d’Appello che ha confermato o rimodulato sette condanne e tre assoluzioni.
Sette condanne e la conferma di un sistema mafioso radicato
I giudici hanno inflitto 8 anni e 4 mesi ad Andrea Catalano, 7 anni e 3 mesi a Gaspare Ribauto (riduzione di un mese), 5 anni a Cosimo Calì, 7 anni e mezzo a Emanuele Cannata, 8 mesi con pena sospesa a Francesco Fazio, un anno a Davide Ribaudo. Ribaltata l’assoluzione in primo grado per Giovanni Catalano, ora condannato a 6 anni e 8 mesi. Confermate invece le assoluzioni per Antonino Ribaudo, Ferdinando Davì ed Emanuele Tejo Rughoo.
Il processo ha fatto luce su un vero e proprio “sistema” di imposizione: minacce, aggressioni, pressioni psicologiche e danneggiamenti per piazzare i buttafuori vicini a esponenti mafiosi in locali notturni, pub e sale da ballo, in un contesto spesso reso possibile anche dal silenzio – e in alcuni casi dalla reticenza – di titolari e gestori.
Nel procedimento principale, che ha visto coinvolti anche volti di primo piano della criminalità palermitana come il boss Massimo Mulè e il cognato Vincenzo Di Grazia, già condannati in via definitiva, emerge il coinvolgimento diretto di clan nel business della sicurezza privata, con tariffe che, secondo un ex collaboratore, arrivavano anche a tremila euro al mese.
Il coraggio di chi ha denunciato e la voce di Addiopizzo
A costituirsi parte civile sono stati due imprenditori e l’associazione Addiopizzo, che ha ottenuto un risarcimento simbolico insieme a enti come il Centro Pio La Torre, Sicindustria, Fai, Sos Impresa, Confcommercio Palermo e Solidaria. In particolare, Addiopizzo ha accompagnato i gestori del Caffè Verdone di Bagheria nella scelta di denunciare, nonostante minacce e intimidazioni pesanti, tra cui risse orchestrate ad arte per terrorizzare clienti e titolari.
“In un clima di reticenza diffusa – spiega l’associazione – i ragazzi del Caffè Verdone sono stati tra i pochi a non tirarsi indietro. Hanno testimoniato, affrontato minacce e confermato tutto in aula. Questo processo dimostra che denunciare è possibile, anche nella provincia di Palermo”.
Con la sentenza d’appello, il tribunale ha inoltre confermato i risarcimenti: 10 mila euro ai due imprenditori che si sono costituiti parte civile e 5 mila euro a ciascuna delle associazioni che hanno sostenuto il percorso di denuncia.