Non è solo un animale, ma un simbolo vivente della Sicilia più autentica e tenace. La vacca Cinisara, che porta con orgoglio il nome del nostro territorio, è stata per secoli una presenza silenziosa e resiliente sui terreni più impervi dell’isola. Oggi, grazie a un imponente progetto di ricerca, la scienza non solo ne certifica le straordinarie qualità, ma le apre le porte del mondo: questo simbolo di sostenibilità è finalmente pronto per essere esportato.
Dopo quattro anni di intenso lavoro del progetto “Cinisara’s Chain”, finanziato dal PSR Sicilia, i risultati sono stati presentati a Palermo, segnando una svolta epocale per gli allevatori e per l’intera filiera. “La razza bovina cinisara rappresenta il futuro”, ha dichiarato senza esitazione Santo Caracappa, veterinario e consigliere scientifico dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale per la Sicilia. Non si tratta di un’affermazione di circostanza, ma della sintesi di dati che confermano ciò che la tradizione sapeva da sempre: la Cinisara è un baluardo contro i cambiamenti climatici, un animale capace di adattarsi a condizioni estreme.
Il suo segreto risiede in un legame indissolubile con il paesaggio. Come spiegato da Gabriele Volpato dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, la Cinisara è una “gestrice di paesaggi”. Viene allevata quasi esclusivamente all’aperto, su terreni scoscesi e marginali che sarebbero altrimenti abbandonati. Lì, dove l’unica concorrente “può essere solo la capra”, come sottolinea Caracappa, questa razza autoctona si nutre della vegetazione spontanea, trasformando erbe selvatiche in prodotti dal sapore unico e inconfondibile, che si tratti di formaggi o di carni. È un sistema di allevamento a bassissimo impatto, che non dipende da mangimi importati o combustibili fossili, ma solo dalla passione di piccoli allevatori.
Una passione che, come ha ricordato Giuseppe Ingraffia, presidente del Consorzio di tutela, ha unito gli allevatori verso l’obiettivo comune di veder riconosciute scientificamente le qualità del loro lavoro. Un lavoro eroico, portato avanti da piccole aziende che faticano a fronteggiare gli alti costi di produzione, ma che garantiscono un livello di artigianalità altissimo.
Il traguardo più importante, però, è quello che proietta la Cinisara oltre i confini dell’isola. “Quando abbiamo cominciato con questa razza ci hanno detto ‘non si può fare’”, ha raccontato con orgoglio Francesco Sottile, docente dell’Università di Palermo. Oggi, dopo dieci anni di lavoro e grazie alla sinergia tra allevatori e mondo accademico, l’impossibile è diventato realtà: “abbiamo finalmente embrioni da conservare”. Questa svolta tecnologica significa che il patrimonio genetico di questo straordinario animale può essere salvaguardato e, per la prima volta, esportato, permettendo alla vacca che porta il nome di Cinisi di diventare un’ambasciatrice globale di un modello di agricoltura sostenibile e resiliente.