Le indagini sulla rete di protezioni che ha garantito la latitanza del boss Matteo Messina Denaro si concentrano ora su nuovi fronti. Perquisizioni sono in corso presso gli ospedali Villa Sofia e Civico di Palermo, nell’ambito di un’inchiesta che coinvolge anche ambienti sanitari. Gli accertamenti, condotti dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo guidata dal procuratore Maurizio de Lucia, mirano a ricostruire il sistema di connivenze che avrebbe agevolato il capomafia durante il periodo in cui era latitante.
Le perquisizioni e l’obiettivo dell’indagine
Gli inquirenti stanno scandagliando con attenzione gli ambienti ospedalieri per verificare eventuali collegamenti tra personale sanitario e la rete di supporto di Messina Denaro. Le ricerche mirano a identificare chi, direttamente o indirettamente, potrebbe aver fornito coperture, cure o agevolazioni al boss, contribuendo a garantirgli la possibilità di muoversi e agire indisturbato nonostante fosse tra i ricercati più pericolosi al mondo.
Le dichiarazioni di Lorena Lanceri
Intanto, sul fronte giudiziario, emergono nuove dichiarazioni di Lorena Lanceri, condannata a 13 anni e 4 mesi per aver favorito la latitanza di Messina Denaro. La donna, in dichiarazioni spontanee rese alla vigilia della sentenza d’appello, ha raccontato il suo rapporto con il capomafia, descritto inizialmente come “Francesco Salsi”.
“Quando l’ho incontrato, non sapevo chi fosse realmente – ha spiegato Lanceri –. Ho creduto a ciò che mi diceva, ovvero che era perseguitato dalla giustizia. Era un periodo complicato per me, sia in famiglia che con mio marito. Lui mi faceva stare bene ed era gentile”.
La relazione tra Lanceri e Messina Denaro si sarebbe ulteriormente rafforzata quando il boss si ammalò dello stesso male che aveva colpito la madre della donna. “Questo ci ha avvicinati ancora di più”, ha aggiunto in lacrime. Lanceri ha ribadito di non considerarsi una criminale, sostenendo di affrontare il processo per amore dei suoi figli.
L’arresto e i favori al boss
Lorena Lanceri venne arrestata insieme al marito Emanuele Bonafede, accusato di favoreggiamento e condannato a 6 anni e 8 mesi. La coppia avrebbe avuto un ruolo centrale nella protezione del boss, ospitandolo nella loro casa e agendo come intermediari per trasmettere i pizzini attraverso cui Messina Denaro comunicava con la sua rete.
Tra gli episodi più significativi emersi dalle indagini, il boss avrebbe elargito denaro e regali alla coppia, inclusi beni di lusso. Un documento rinvenuto tra gli appunti di Messina Denaro riportava la spesa effettuata per un Rolex regalato al figlio di Lanceri. Questo dettaglio sottolinea la complessità della relazione tra il capomafia e i suoi sostenitori, che non si limitava a una mera protezione ma includeva una dimensione di scambio e gratitudine.
Gli sviluppi attesi
Le udienze proseguono, e i giudici devono ancora decidere se emettere la sentenza nella giornata odierna. Nel frattempo, l’indagine della Dda di Palermo avanza su più fronti, con l’obiettivo di far luce sui dettagli di una latitanza che per anni ha sfidato le autorità, grazie a una rete di protezioni costruita con cura e alimentata da legami personali, favori e connivenze in ambiti inaspettati, come quello sanitario.
Questi nuovi sviluppi rafforzano il quadro di un sistema di favori e complicità che ha permesso a Matteo Messina Denaro di sfuggire alla giustizia per tanto tempo. Le indagini continuano a rivelare i meccanismi interni di una rete che ha intrecciato legami tra criminalità organizzata e settori apparentemente lontani dal mondo mafioso.