“C’è ancora domani”, il film di Paola Cortellesi che ha distrutto ogni record nel 2023

Emanuele Fragasso
da Emanuele Fragasso
5 Minuti di lettura

“C’è ancora domani”, stellare esordio alla regia di Paola Cortellesi, in poco meno di un mese dal suo debutto in sala il 26 novembre ha totalizzato una cifra record di più di 20 milioni di euro al botteghino, risultando essere il terzo incasso più remunerativo di quest’anno, piazzandosi solamente dietro ai due colossi americani di Oppenheimer di Cristopher Nolan e Barbie di Greta Gerwig.

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Della durata di 118 minuti e caratterizzato da un bianco e nero come scelta di fotografia, con una regia semplice, didascalica e totalmente mirata al solo e unico fine narrativo, è un film duro da mandare giù; ambientato nel 1946, in una Roma dove il peso della guerra e la fame straziante costringono la gente a ingegnarsi per riuscire a sbancare il lunario, facendo più lavori al giorno per guadagnare quanti più soldi possibili, in un’epoca dove arrivare a fine giornata non era quasi mai una certezza.

Delia, la nostra protagonista, interpretata da una Cortellesi incupita dal peso di essere una donna in un periodo difficile come quello del dopoguerra, trascorre il suo tempo lavorando incessantemente come massaia, infermiera, sarta, arrivando persino a stendere i panni e fare le faccende in un altro palazzo pur di riuscire a guadagnare qualcosa in più.

“C’è ancora domani” è un film che già dalla prima brusca scena catapulta lo spettatore in un’epoca storica dove l’abuso e la violenza fisica si perpetuavano tanto facilmente quanto abitudinariamente; Valerio Mastandrea interpreta magistralmente il personaggio di Ivano, capofamiglia o patriarca per usare l’accezione più adatta, e perfetta incarnazione dell’uomo che ci si aspetterebbe da quei tempi; fedifrago, violento e alcolizzato, Ivano è il burattinaio che muove i fili dei membri della sua famiglia, la sua autorità è incontestabile e il suo potere assoluto; quando non è impegnato a vessare psicologicamente Delia, sminuendola e insultandola continuamente, arriva spesso a picchiarla con una violenza inaudita.

Le botte sono davvero pesanti da digerire, la tensione in casa è sempre alle stelle quando Ivano è presente, e aleggia sempre un’atmosfera di pericolo imminente, perché sai che le percosse arriveranno al primo errore commesso; le percosse sono anche protagoniste di un dialogo agghiacciante fra Ivano e suo padre, dove il padre, stanco di sentire la donna piangere continuamente, esorta il figlio e marito di Delia a picchiarla una volta sola duramente, per assoggettarla una volte per tutte alla sua autorità.

L’elemento che è onnipresente in un rapporto di coppia tossico e abusante è la dinamica del “rinforzo positivo”: ad ogni raffica di botte inflitta corrisponde quasi sempre in seguito un abbraccio di pentimento, un bacio, un “mi dispiace, lo sai che non sono così, è che ho combattuto due guerre”, in una costante ottica di giustificazionismo del male inflitto.

Il ruolo dell’uomo e della donna in quella società temporalmente tanto lontana dalla nostra ma i cui retaggi culturali si sentono tristemente ancora oggi sono ben scanditi e separati; anche i figli dei due coniugi riflettono la cultura del tempo: la figlia maggiore deve sposarsi il prima possibile, così da “accasarsi” , smettere di lavorare e passare il resto della propria vita a servire il nuovo marito, mentre i due figli piccoli, pestiferi e super scurrili, sono liberi di fare quello che vogliono senza esser mai richiamati, proprio perché uomini, a entrambi inoltre è concesso di andare a scuola, privilegio negato alla figlia data la situazione economica precaria della famiglia .Nonostante i toni drammatici della vicenda, il film in alcuni momenti riesce anche a strappare qualche amara risata, per addolcire una pillola spesso troppo amara da mandare giù.

Un plauso in particolare al finale , una vera svolta chiave nell’empowerment di Delia, inatteso e davvero poetico. In conclusione, il film di Paola Cortellesi riesce a mandare un messaggio forte, senza risultare melenso o scontato, una vera ventata di aria fresca e un grido di riscatto per il cinema italiano, il consiglio della nostra redazione è infine quello di guardarlo in sala per godere appieno della completa esperienza cinematografica e per supportare il nostro cinema, in un industria in cui i lungometraggi americani sono quasi sempre gli unici ad avere un seguito in sala e dove le produzioni italiane non vogliono rischiare, adeguandosi sempre di più al modello del film a budget ridotto per appianare al minimo il rischio di fallimento.
Voto: 8/10

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